Adriana ha appena concluso una storia di un semestre con un tipo.
Giulio ha appena iniziato le prove tecniche di convivenza.
Adriana ne esce distrutta. Bisogna farla uscire per farla distrarre dal senso di dipendenza che le è rimasto. Dipendenza da amore o da rancore. Non si capisce. Non lo capisce.
Giulio sente che possa essere la volta giusta. Lui così “incapace” a legarsi ad una persona sola “per sempre”, ma forse adesso…
Ha portato “di là” lo spazzolino che vuol dire aver piantato la bandierina.
Adriana è inquieta, instabile, svuotata. Ma da questo vuoto ha cominciato a ricostruire. Ha da pochi giorni un taglio di capelli nuovo, un occhialino colorato e si è iscritta in palestra. Fa gli occhietti sornioni ai ragazzi che le piacciono.
Giulio ha atteso la spinta di coraggio giusta e quando è arrivata ha detto “ok, ci sto. Proviamoci”. Altre volte avrebbe rimandato la decisione. Ma non questa volta. E’ stato pragmatico. E’ entusiasta e ottimista. Anche un po’ ansioso che non si rompa l’incantesimo.
E così Adriana è più presente adesso.
Giulio invece un po’ più lontano.
Quindi mi ritrovo ad uscire più con Adriana che con Giulio.
Ho fatto visita alla nonna prima di ripartire. Il pomeriggio da lei passa così lento.
La misura del battito è diversa.
E' per lo meno il doppio.
Lei seduta su una poltroncina e i raggi del sole che entrano dalla finestra e si proiettano dapprima sul muro più a sinistra e poi, a fine giornata, raggiungono il muro più a destra. E lei ancora seduta su quella poltroncina.
Domani i miei battiti correranno all'impazzata. Nuove scadenze, altre consegne e tanto stress.
Feste finite. Si riprende.
Si stava così bene a colmare il tempo con un po' di tutto...
Ma avevo parcheggiato lì vicino e allora, di ritorno, “divagazione sul tema”. Tanto di questi giorni ho solo l’imbarazzo di colmare il tempo.
Mani in tasca, ho passeggiato un po’ e mi sono concentrato sugli odori, alla ricerca di un’aria che respiravo tutti i giorni quando avevo meno di sei anni.
E ho provato la sensazione di Totò in Nuovo Cinema Paradiso di Tornatore, che poi è l’emblema del “ritorno”. Di ogni tipo di “ritorno”, intendo.
Vent’anni che non ci mettevo piede.
Tutto congelato come allora, eppure così diverso.
Abbandonati. Completamente abbandonati i giardini pubblici.
Erbacce, muri crollati, un monumento in marmo bianco sfregiato da un graffito proprio accanto ad una targa di rame ossidato: “Alla cittadinanza, Ottobre 1901”.
Una panchina in ferro battuto divelta, un albero agonizzante, due bottiglie di vino vuote per terra.
Poi deserto. E desolazione.
C’erano le motorette una volta, quelle con i paraurti grossi di gomma tutto attorno. Quelle che davi 500 lire al tipo e ci giravi 5 minuti e se eri troppo piccolo salivi come passeggero sul sidecar.
E c’era anche il carosello. Che li avevi provati tutti i cavalli e ad ogni giro salutavi la mamma come fosse una gioia, ritrovarla lì al ritorno da un giro del mondo.
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