lunedì

E non dirmi che

Incrociare una coppia per strada e sentire che lei dice
e non dirmi che sono bigotta, è che a me fa schifo
fa sorridere e stimola la fantasia.

Adriana e Giulio

Adriana e Giulio.

Adriana ha appena concluso una storia di un semestre con un tipo.
Giulio ha appena iniziato le prove tecniche di convivenza.

Adriana ne esce distrutta. Bisogna farla uscire per farla distrarre dal senso di dipendenza che le è rimasto. Dipendenza da amore o da rancore. Non si capisce. Non lo capisce.

Giulio sente che possa essere la volta giusta. Lui così “incapace” a legarsi ad una persona sola “per sempre”, ma forse adesso…
Ha portato “di là” lo spazzolino che vuol dire aver piantato la bandierina.

Adriana è inquieta, instabile, svuotata. Ma da questo vuoto ha cominciato a ricostruire. Ha da pochi giorni un taglio di capelli nuovo, un occhialino colorato e si è iscritta in palestra. Fa gli occhietti sornioni ai ragazzi che le piacciono.

Giulio ha atteso la spinta di coraggio giusta e quando è arrivata ha detto “ok, ci sto. Proviamoci”. Altre volte avrebbe rimandato la decisione. Ma non questa volta. E’ stato pragmatico. E’ entusiasta e ottimista. Anche un po’ ansioso che non si rompa l’incantesimo.

E così Adriana è più presente adesso.
Giulio invece un po’ più lontano.
Quindi mi ritrovo ad uscire più con Adriana che con Giulio.

Adriana e Giulio.
I miei amici a targhe alterne!

domenica

Poche forse ma intense

Potrei scrivere gli stessi pensieri con cento o persino mille, altre parole.
Ma non aggiungerebbero nulla. Solo condimento, con il rischio di alterare il sapore della sostanza.
Apprezzo allora il gusto della semplicità.
Scardinare la complessità fino a possederla in ogni suo anfratto.
Contenerla tra due mani.
Come creta, scaldarla, plasmarla, darle forma.
Una nuova, una più semplice.
Se di concetti si parla, allora son parole.
Poche forse.
Ma intense.

giovedì

Smarrimento temporale

Quando andavo a scuola, alle elementari dico, la maestra ci faceva scrivere all’inizio della pagina città e data. In alto a destra.
Succedeva che al rientro dalle vacanze natalizie sbagliavo a scrivere l’anno.
Un po’ come quando pochi giorni dopo il compleanno, ti chiedono quanti anni hai e fai scena muta.
Il principio è quello. O qualcosa di simile.
Smarrimento temporale.
Ho firmato un’autocertificazione oggi.
“Li 18 Gennaio 2011”.
Appunto!
Scusi, me ne dia un altro da compilare, così viene pulito

lunedì

Liberarsi del vecchio

Ho fatto un po’ di pulizia. Due buste di plastica di superfluo.
Liberarsi del vecchio: cosa c’è di più rilassante ad'inizio anno?

mercoledì

Per quel tanto di rumore che basta

Un aperitivo con Adriana, non appena rientrato.
Per quel tanto di rumore che basta,
a coprire il silenzio che rimane,
quando si va via dalla casa di famiglia,
dove ognuno ha le sue,
e le racconta.

domenica

Quello che passa per la testa

Ho fatto visita alla nonna prima di ripartire. Il pomeriggio da lei passa così lento.
La misura del battito è diversa.
E' per lo meno il doppio.
Lei seduta su una poltroncina e i raggi del sole che entrano dalla finestra e si proiettano dapprima sul muro più a sinistra e poi, a fine giornata, raggiungono il muro più a destra. E lei ancora seduta su quella poltroncina.

Domani i miei battiti correranno all'impazzata. Nuove scadenze, altre consegne e tanto stress.
Feste finite. Si riprende.
Si stava così bene a colmare il tempo con un po' di tutto...
...di tutto quello che passa per la testa.

sabato

Ottobre Millenovecentouno

Sono stato ai giardini pubblici.
Per caso. Mi ci sono ritrovato per caso.
Ma avevo parcheggiato lì vicino e allora, di ritorno, “divagazione sul tema”. Tanto di questi giorni ho solo l’imbarazzo di colmare il tempo.

Mani in tasca, ho passeggiato un po’ e mi sono concentrato sugli odori, alla ricerca di un’aria che respiravo tutti i giorni quando avevo meno di sei anni.
E ho provato la sensazione di Totò in Nuovo Cinema Paradiso di Tornatore, che poi è l’emblema del “ritorno”. Di ogni tipo di “ritorno”, intendo.

Vent’anni che non ci mettevo piede.
Tutto congelato come allora, eppure così diverso.
Abbandonati. Completamente abbandonati i giardini pubblici.
Erbacce, muri crollati, un monumento in marmo bianco sfregiato da un graffito proprio accanto ad una targa di rame ossidato: “Alla cittadinanza, Ottobre 1901”.
Una panchina in ferro battuto divelta, un albero agonizzante, due bottiglie di vino vuote per terra.
Poi deserto. E desolazione.

C’erano le motorette una volta, quelle con i paraurti grossi di gomma tutto attorno. Quelle che davi 500 lire al tipo e ci giravi 5 minuti e se eri troppo piccolo salivi come passeggero sul sidecar.
E c’era anche il carosello. Che li avevi provati tutti i cavalli e ad ogni giro salutavi la mamma come fosse una gioia, ritrovarla lì al ritorno da un giro del mondo.

Sono rimasto mezz’ora poi sono andato via.
Ottobre millenovecentoeuno.
Un gran peccato però.


domenica

La chitarra non mi è mai piaciuta

La chitarra non mi è mai piaciuta.
Un po’ per il suono e un po’ per via di quelli che la suonavano. E la suonavano male.
Sandro, ad esempio. Che lo vedevi di giorno a mare e lo vedevi di notte in piazza, sempre vestito uguale.
Coi piedi sporchi e con quei 4 accordi, a modo suo faceva il “tramp”.
Non ha mai ingannato nessuno e neanche se stesso.

E “le bionde trecce, gli occhi azzurri e poi”… per carità!

Ma ho riscoperto la chitarra e la potenza dell’arpeggio.
Il pizzico metallico che tocca l’anima.
E se la sapessi suonare, ieri sera, alla festa di fino anno, l’avrei presa e avrei cantato quella di Jovanotti,
quella che fa così...

Buon anno fratello
buon anno davvero
e spero sia bello
sia bello e leggero
che ti porti scompiglio e progetti sballati
e frutta e panini ai tuoi sogni affamati
e ti porti chilometri e guance arrossate
albe azzurre e tramonti di belle giornate
e semafori verdi e prudenza e coraggio
ed un pesce d’aprile e una festa di maggio

L’avrei suonata con tutto l’ardore che si ha ad un “inizio”.
L’avrei suonata per la ragazza con gli stivali viola, che era la più bella alla festa,
così bella che, già lo so, la penserò per un anno intero.
L’avrei cantata con l’emozione di un pensiero:
“E’ per te. Vieni via con me.”