sabato

Ottobre Millenovecentouno

Sono stato ai giardini pubblici.
Per caso. Mi ci sono ritrovato per caso.
Ma avevo parcheggiato lì vicino e allora, di ritorno, “divagazione sul tema”. Tanto di questi giorni ho solo l’imbarazzo di colmare il tempo.

Mani in tasca, ho passeggiato un po’ e mi sono concentrato sugli odori, alla ricerca di un’aria che respiravo tutti i giorni quando avevo meno di sei anni.
E ho provato la sensazione di Totò in Nuovo Cinema Paradiso di Tornatore, che poi è l’emblema del “ritorno”. Di ogni tipo di “ritorno”, intendo.

Vent’anni che non ci mettevo piede.
Tutto congelato come allora, eppure così diverso.
Abbandonati. Completamente abbandonati i giardini pubblici.
Erbacce, muri crollati, un monumento in marmo bianco sfregiato da un graffito proprio accanto ad una targa di rame ossidato: “Alla cittadinanza, Ottobre 1901”.
Una panchina in ferro battuto divelta, un albero agonizzante, due bottiglie di vino vuote per terra.
Poi deserto. E desolazione.

C’erano le motorette una volta, quelle con i paraurti grossi di gomma tutto attorno. Quelle che davi 500 lire al tipo e ci giravi 5 minuti e se eri troppo piccolo salivi come passeggero sul sidecar.
E c’era anche il carosello. Che li avevi provati tutti i cavalli e ad ogni giro salutavi la mamma come fosse una gioia, ritrovarla lì al ritorno da un giro del mondo.

Sono rimasto mezz’ora poi sono andato via.
Ottobre millenovecentoeuno.
Un gran peccato però.


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