sabato

Sono ritornato al pranzo di natale.

Sono entrato nell'ultima stanza oggi, quella in fondo al corridoio e poi a destra.
Tutto intatto come un anno fa, e due anni fa, e tre, e quattro e chissà quanti altri che io non ricordi. Per me quella stanza è così da sempre.

E' la stanza in cui dormiva mio padre da ragazzo. C'è ancora il suo vecchio giradischi e gli album dei Queen, dei Beegees, di Santana e di Baglioni.
Baluardi di quegli anni '70 che hanno fatto storia.

Non entra più nessuno oggi in questa stanza.
E' una stanza dismessa, tipico delle case delle persone anziane.
Solitamente l'avvolgibile non viene mai alzato e mai abbassato. Rimane a metà.
A tutte le ore del giorno, la penombra si posa sulle polaroid d'altri tempi, sui mobili d'altri tempi, sugli odori di altri tempi.

C'è anche un carillon nell'ultima stanza in fondo a destra, in casa di mia nonna.
L'ho preso in mano, gli ho dato la carica e l'ho rimesso esattamente dove si trovava, perché quell'ordine naturale delle cose non venisse perturbato.

Dopo aver atteso un intero anno, le note metalliche del congegno si sono librate.
Una dopo l'altra, din din don doon din, con un'intonazione perfetta.
Un carillon non si "scorda". Un carillon non stecca.
Avrà fatto le prove già da qualche giorno. La notte probabilmente. Quando nessuno lo potesse sentire. Avrà fatto le prove per arrivare all’appuntamento di oggi preparatissimo, per un’esibizione senza sbavature.

Ha iniziato di gran lena il carillon. E poi ha rallentato il tempo, sfumando le note finali.
Ho atteso il tocco dell’ultima, quella che chiude il concerto, quella che arriva dopo uno o due secondi di silenzio di suspance.
Ho atteso l’ultima nota di “silent night” e sono ritornato in sala da pranzo. Sono ritornato al pranzo di natale di famiglia.

domenica

Dimmelo e poi qui, mettiamo un punto

Credo sia arrivato il momento di mettere un punto.
Questo sentimento indefinibile, questa cosa impossibile, sta diventando eterna e io non voglio.
Perché ti fa male quando stai per tornare a crederci e io ti riporto alla realtà.
Perché mi fa male chiamarti amore e sapere che in questo momento stai baciando un altro.

Lo sai, mi conosci, non so esserti amico. Solo amico.
Lo sai, mi conosci, non voglio esserti amico. Solo amico.

Preferisco piuttosto non sentirci più. Preferisco portarmi dentro il nostro amore speciale, così impossibile.

Voglio sentirmi di più per te.

Dimmelo ancora. Ti prego. Ancora un volta, dimmi che io per te sono un’altra cosa, che io sono io e lo sarò per sempre.
Dimmelo e poi basta. Dimmelo e poi qui, mettiamo un punto.

venerdì

Dormite pure voi

E’ notte. Dormite pure voi, nei vostri sogni di fiaba, io resto sveglio.

Mi sento malinconico. Mi sento nostalgico.
Nostalgico come “no surprise” dei Radiohead sa essere.
Come “daysleeper” dei REM.
“In my place” dei Coldplay.

Dicono che la malinconia sia la felicità e la libertà di sentirsi tristi.
Già e allora dormite pure voi, io resto sveglio.

E’ tardi. Passano poche macchine giù in strada. Deve essere bagnata. Sento il rumore dei pneumatici sull’acqua.

Metto il plaid sulle spalle. Ho freddo.
Dormite pure voi,
Io resto sveglio.

domenica

Non fa una piega

- Sabri, tu ad esempio, come fai a sapere che quello con cui hai un appuntamento stasera non può che essere solamente “uno di passaggio” ?

- E’ la terza volta stasera che lo vedrò. Alla seconda avevo già capito che non vorrei svegliarmi la domenica mattina accanto a lui.

- Non fa una piega Sabri, non fa una piega.

lunedì

Di nuovo inverno

Di nuovo freddo,
di nuovo pioggia,
di nuovo buio.

Alzo il bavero del giubbotto fino al mento e tiro su il cappuccio per non bagnare i capelli.
Le mani in tasca sfuggono al gelo.
Come dentro uno scafandro, rientro in casa.

Non si incrocia più nessuno per strada.
Non passeggiano più, per il viale, le coppiette spensierate delle fresche serate estive. Spariti sedie e tavolini da aperitivo fuori dai locali. Le porte adesso sono chiuse e sono tutti dentro. Li vedo da fuori schiamazzare. Li vedo, ma non li sento.
C’è silenzio qui fuori.

Furtive e scure presenze s’aggirano. Come gatti voltano gli angoli e si perdono. Sono pochi e rari viandanti isolati; a passo spedito, sfuggono anche agli occhi e non li vedi più.

Scafandri, come il mio, anche per loro.
Scafandri che non lasciano disperdere niente di quel calore che un corpo possa produrre.
Scafandri che non lasciano trasparire le “storie”.
Tutto rimane dentro.
I pensieri rimangono dentro.
Le angosce, le speranze, i turbamenti.
I nomi, i volti e un’abbronzatura per fingere chi non sei.

Sono finiti i giochi. Hai le scarpe bagnate, il naso ghiacciato e desideri calore.
Umano, calore umano!

Dentro lo scafandro, coperto ma non nascosto, senza più fingere, sei in pace con te stesso.

Di nuovo freddo,
di nuovo pioggia,
di nuovo buio.

Di nuovo inverno.

Come ho fatto a non pensarci prima?

L'estetista! Come ho fatto a non pensarci prima?

Il fatto è che da dentro il mio abitacolo... quel coso.. si insomma il SUV... mi sembra grande e prepotente.
Quello sfarzo: un insulto al mio netto in busta paga.

Ingabbiato dentro un senso di iniqua inferiorità, vedo arroganza in volto alla signora botulinata che sta alla guida. Mi sfreccia davanti senza neanche degnarmi di uno sguardo.

Dovrei solo fare lo sforzo di uscire dal mio abitacolo ed entrare in quell’altro, dall'altro lato dell'incrocio.
In quell'abitacolo di pelle e radica, una donna è già in ritardo con l'appuntamento dall' estetista.
Guida distratta. Stamane è arrivato un sms al cellulare del marito, proprio mentre lui era in doccia. L'ha letto e non avrebbe dovuto. Diceva: “Il letto profuma ancora di te. Grazie delle rose. Ti aspetto anche stasera, fuori dal tuo studio.

Guida distratta. Non sa decidere se è il caso piangere o scagliarsi contro il suo televisore al plasma: 42 pollici di frantumi sul pavimento del salotto.
Guida distratta. Non dà la precedenza. Non mi ha neanche visto.

Deve essere andata così.
Più o meno.

mercoledì

Anch’io i miei buoni pregiudizi

Anch’io i miei buoni pregiudizi.

Donna al volante di un'auto da 50 mila euro: arroganza!
Donna al volante di un'auto da 50 mila euro e che non mi dà la precedenza: come volevasi dimostrare!

martedì

Cosa ne farà di quel foglietto?

Passavo di lì, in macchina.

Erano entrambi vicini al bordo di quella strada di periferia, all’inizio dei campi che terminano, là in fondo, ai piedi dei monti.
Lui, con in mano un radiocomando, era intento a pilotare il suo elicotterino a motore. Un vero amante del modellismo.
Lei stava accanto.
Silenziosa, gli teneva compagnia.
Distrattamente, gli teneva compagnia.
Non aveva, comunque, l’aria di chi è infastidito nel fare qualcosa contro voglia. Credo che godesse di quel momento di rilassatezza di coppia.
Parlare: sono sicuro che le mancasse tanto, che ne avvertisse persino l’esigenza.

Guidavo “a naso”.
In base alle indicazioni che avevo ricevuto per telefono, credo che stessi seguendo la giusta direzione. Non c’erano tuttavia molti punti di riferimento. Solo aperta campagna ai lati.

Decido di accostare e chiedere conferma del percorso.

Lui mi guarda velocemente. E’ occupato a manovrare, non può.
Lei gli dice qualcosa e si avvicina.

E’ bellissima.
Avanza verso me, sulle zeppe. Il terreno sui cui incede non è il più adatto, ma la goffaggine dei movimenti non le appartiene. Ha la pelle ambrata di un’abbronzatura “senza sbavature”. Due grossi occhiali scuri nascondono gli occhi. Un fermaglio in alto sulla testa, invece, fa luce sui lineamenti del viso. La zona del collo, sotto il lobo, è in vista. Piccoli particolari delle guance, tirate da uno smagliante sorriso, mi rapiscono.

Ciao, scusa se disturbo, devo raggiungere la casa di un amico. Se ho capito bene le sue indicazioni dovrei essere vicino. Qui le strade sembrano tutte uguali. Sei di qui? Conosci la zona?

Mi dà le informazioni stradali che mi servono.
Non è del posto, ma lo conosce abbastanza bene. Mi racconta che ci viene spesso, con il fidanzato, la domenica. E’ una zona tranquilla e poco trafficata, ideale per praticare aereo-modellismo.
Do seguito alla chiacchierata di circostanza.
Mi sento incantato da quella bellezza e da quella vivacità. Lei parla e io penso quanto sia bella, di una bellezza “semplice” che potrei contemplare, senza stancarmi, per una vita intera e forse anche più.

- Ok, allora ti ringrazio… ehmm?
Sorride
- Elisa
- Ti ringrazio Elisa!

Prendo la penna che tengo nel portaoggetti della macchina, un foglietto di carta nel cruscotto e le scrivo il mio numero di cellulare. Glielo passo. Chiudo i finestrini e riparto.

Ecco è adesso che mi chiedo cosa ne farà di quel foglietto? Lo butterà o lo terrà per sé? Racconterà subito tutto al suo ragazzo? Sì, con tutta probabilmente andrà così. Si amano, ne sono convinto!

Mi sento stupido.
Non finisco di scrivere neanche il prefisso del mio numero. Poso la penna e poso il foglietto di carta.
Le sorrido innocuamente.

- Scusa ancora il disturbo Elisa. Buona domenica. A presto.

Io, che cerco ancora di capire chi sia Lei

Ci sono quelli che si conoscono a 16 anni e si dicono “ti amo”. Li incontri dopo 10 anni e stanno ancora insieme. Dopo 15 si sposano. E poi una vita insieme.

Bello.
Romantico.

Io, che cerco ancora di capire chi sia Lei, quella che sto cercando, al loro posto passerei tutta vita a dubitare del culo di aver trovato al primo tentativo la persona giusta per me.

domenica

Ho visto i labiali recitare un “sì”

Lui, il ragazzo ideale per ogni ragazza. Quello con gli occhi azzurri.
Come se quella fisicità statuaria non bastasse. Come se una natura ingenerosa, per crearlo, avesse preso un giorno intero tutto per lui, trascurando cento altri.
Pochi anni per diventare responsabile distrettuale di un’importante società. Dicono sia bravo nel suo lavoro.
E Lei, una ragazza di carattere. Una capace di fare dell’adone più ambito, il proprio uomo. E Non si può dire che non mancasse la concorrenza.
Una laurea in giurisprudenza e una spiccata determinazione per attestarsi come affermato avvocato in città.

Li ho visti sposarsi.

Ho visto fiori bianchi, pagetti e damigelle di sartoria.
Ho visto anelli, e chicchi di riso.
Ho visto cravatte, tacchi a spillo e auto con interni in pelle.
Ho visto videocamere, fotografi, flash. Ho visto sorrisi.

Ho visto sfarzo.

Ho visto la gioia che si scioglie in lacrime,
ho visto la tensione che si condensa in sudore.

Ho visto donne incinte accarezzarsi il ventre,
ho visto padri baciare le figlie.

Ho visto i labiali recitare un “sì”.

Ho visto coppie stringersi la mano rivivendo un sì,
ho visto coppie maledirsi in silenzio rivivendo un sì.

Ho visto il dito indice su uno spazio vuoto.
Ho visto il nome che lo ha riempito.

Ho visto il bacio di un inizio,
ho visto la marcia di un finale.

Ho visto una cabriolet nera farsi strada tra uno stuolo di applausi.
Ho visto sincera felicità e ho visto invidia che è sincera anch’essa, quanto sincera lo è stata la mia.

Poi sono ritornato a casa e ho levato le scarpe lucide.
Ho chiamato Giulio e ho chiamato Adriana.
Siamo andati a farci un aperitivo.
Era il caso.

Ma cosa importa ormai?

Ho visto le sue foto.

L’ho vista mandare bacini.
L’ho vista ammiccare.
Ho visto gli occhi suoi. E ci ho visto tanta timidezza dentro.

E così l’ho aggiunta su Facebook.
E’ nella lista delle “occasioni perse”.
Ma cosa importa ormai?

lunedì

Si può inseguire un arcobaleno?

L’arcobaleno più vivo e intenso che abbia mai visto: oggi!

Ero da poco uscito da lavoro.
Guidavo.
E' comparso proprio davanti a me.

Un ponte iridato così grande che poteva unire due paesi, due popoli, due diversi modi di pensare.

Alle code dei semafori, un po’ tutti ne approfittavamo per sbirciare dal parabrezza.
Qualcuno ha accostato e con la fotocamera del proprio cellulare, ne ha strappato un pezzo per sé.
Qualcun altro invece lo ha confezionato con cura in un mms e lo ha donato a un amore lontano.

Ho preso la tangenziale in uscita e mi sono diretto verso la periferia, dove i palazzi diventano piccoli e si rimpiccioliscono, fino a perdersi completamente in aperta campagna.

Mi sono fermato in una piazzola di sosta.
Davanti vedevo l’inizio e la fine dell’arcobaleno.

Ho ingranato la prima e sono ripartito con uno scatto.
Volevo andare ai piedi dell’arcobaleno.
Volevo entrarci dentro. Volevo toccarne i colori. Volevo approfittarne prima che si dissolvesse e non ne restasse più traccia.

Due rotatorie poi un incrocio e c’ero quasi.
Mi sarebbero bastate ancora poche centinaia di metri e una traversa a sinistra sul rettilineo su cui avanzavo spedito.
Ho proseguito ancora un po’ diritto, finché non mi è sembrato, ad occhio, che fosse molto più lontano di quanto pensassi.

Ho staccato dalla leva del gas e ho rallentato fino ad arrestarmi del tutto.
Ho fatto inversione a U e mestamente sono ritornato indietro per recuperare la strada verso casa.
Mi sono allora chiesto dubbioso: “Si può inseguire un arcobaleno?”

Mi sono sentito quasi sciocco. Sciocco come quando da piccolo, nel sedile posteriore della macchina, guardavo la luna ed ero convinto che ci seguisse.

Quanto dura un’amicizia?

Quanto dura un’amicizia?

Qualche anno? Una stagione? Il tempo di una chiacchierata?

Una chiaccherata di una sera d’estate passata sotto casa a parlare di baci, sesso, lavoro e ancora una volta della faccia della prof. di fisica quando il Dessi della 4C irruppe in aula durante la lezione; portava in mano un estintore e cantava il jingle dei ghostbuster. Scomparve dietro una fumata bianca di CO2 a bassa temperatura. Che idiota.

Giulio e io siamo lontani, adesso.
Lontani rispetto a come eravamo vicini quella sera d’estate di un anno fa.

Mi ha detto che cercherà se stesso altrove. Sta pensando di trasferirsi all’estero.
Vuole seguire un istinto.
Christian, “l’istinto” di Giulio, ha trovato lavoro a Londra.

Stasera prima di andare a letto ci sarebbe da portare fuori il cane e nell’attesa che finisca di fiutare tutti gli alberi della pineta, accendere una sigaretta e ascoltare i rumori della notte.
Il fatto è che non possiedo un cane.
E a dire il vero nemmeno fumo.

martedì

Ti va di andare al mare domani?

Eravamo seduti fianco a fianco in un divanetto.
La musica era abbastanza distante da poter parlare con la giusta inflessione, senza gridare insomma.
vieni a prendere qualcosa da bere?” le chiesi.
Mi aveva seguito.

Mi era stata presentata la sera stessa.
Di certo non ci avevo perso la testa, ma la tipa era carina.

Abbiamo bevuto un cocktail e abbiamo parlato un po’.
Il più, il meno e una domanda. La mia.
- Ti va di andare al mare domani?
- Mi piacerebbe ma… parto domattina.

Il suo breve soggiorno era finito.

Non rimaneva che darsi bacio. Un bacio d’addio, un bacio d’arrivederci, un bacio per chissà quale significato. Nessuno, semplicemente. Un bacio!

Ho tentennato.
Ho rimandato.
Ho seguitato, secondo dopo secondo nel fare quello che ci si aspetta da un uomo.

I secondi si son fatti minuti.
I minuti si son fatti secoli.
Finché non ci hanno scovato i suoi amici, che sono anche i miei amici.
E’ ora di andare”.

Merda.

Ti aggiungo su Facebook” mi ha detto prima di salutarmi.

venerdì

sei felice adesso?

E poi a parte i trascorsi poco felici con Alessia, quelli fatti di ripicche e piccole vendette morali, ho sempre avuto grosse difficoltà a considerarmi "amico" delle mie ex.

Non ho mai chiesto ad una ex se fosse fidanzata o se frequentasse qualcuno.
Evito sempre quegli argomenti come se si parlasse di vomito e dissenteria a cena.
Basta anche solo questo "taboo" a dirmi che non è il tipico fare di un amico.
Un amico non ha problemi a chiedere di tutto, anzi un amico ti chiede di tutto!

Se sono stato lasciato, non mi interessa nemmeno conoscere la risposta alla domanda più inflazionata tra ex: "sei felice adesso?".
Orgoglio? Invidia? Non so.

Sono sicuro di una cosa: hanno coniato il termine "ex". Devi esserci un perché!

Ci ribecchiamo (se passo ancora di qui)

Basta Alessia, dai.

Sì certo che lo ricordo. Era una notte d'agosto, di quell'estate felice in cui mi diplomai.

Eravamo sdraiati in spiaggia, sotto un infinito stellato. Passavamo le ore così, a caccia di stelle cadenti, armati dei migliori desideri da esprimere.
Non ho mai saputo quali fossero i tuoi. Sono forse gli unici pensieri che non abbiamo mai condiviso, per scaramanzia insistevi tu.
Non c'è dubbio, comunque, che i tuoi desideri fossero anche i miei.

Sai Alessia… quei desideri, quei "pensieri belli" fatti sul guanciale prima di dormire… non li ho mai più avuti, non li ho più fatti. Sparirono d'improvviso, quando ci lasciammo, come sparisce d'improvviso un singhiozzo. Stai bene anche senza, ma hai la sensazione che qualcosa ti manchi; rivorresti persino il singhiozzo indietro.
Oggi vorrei tornare ad avere quel genere di desideri per la testa.

In una di quelle sere ci dicemmo che non ci saremmo lasciati mai e se proprio ci fossimo lasciati noi saremmo rimasti amici per la vita.

Lo ricordo bene, vedi? Non è un fattore di memoria, Alessia!
Quanti anni sono passati? 10? Qualcuno in meno? Qualcuno in più? E non fare il conto, che senso ha?!
Guarda tutto intorno a noi, anche questa città non è più quella di allora! Il bar di Giacomo laggiù, ci si metteva in coda per un tavolino. Una volta seduti tenevamo la posizione ad oltranza. Non lo frequenta più nessuno. Sono andati tutti via da questa piazza.
I "nostri", quelli del nostro gruppo intendo, si sono dispersi. Qualcuno si è pure sposato, hai saputo? Ah già me lo hai detto tu!
Io non ho visto più nessuno, chissà dove stanno, chissà chi sono adesso.

Alessia… era un'altra vita, per me, per te, per tutti quanti.
Erano cose che ci dicevamo… così… perché ci amavamo! Forse oggi non le pronuncerei neanche quelle promesse impossibili.

Noi non saremo amici!
Quando è finita la nostra storia, abbiamo bruciato tutto con le fiamme della rabbia e dell'odio. Ricordi quante ce ne siam fatte? Quante ce ne siam dette?

Non ricrescerà più niente su quel terreno, neanche l'amicizia.

Mi spiace.

E' tardi Alessia, devo andare, salutami tuo fratello.
Ci ribecchiamo (se passo ancora di qui).

domenica

ho bisogno di andare giù a prendere una boccata d’aria

Non bisogna affannarsi, ed è sbagliato, subito prima, aumentare progressivamente la frequenza dei respiri.
I medici la chiamano iperventilazione, ed è pericolosa perché mentre sei giù, nei fondali, puoi incorrere in ipossia. In pratica, pensi di stare bene, di avere ancora molto tempo, molta aria, e invece semplicemente, iperventalando, hai messo fuori uso i ricettori che ti ricordano di non avere le branchie ma due polmoni.

Pertanto, mi preparo galleggiando immobile in superficie. Sciolgo col pensiero tutti i muscoli, sgombro la mente e mi concentro su una respirazione profonda, bassa, di ventre, “diaframmatica”.
Guardo il nulla da dentro la maschera che comprime forte sul viso.
Sento il ritmo cardiaco abbassarsi.

E’ il momento.

Cercando di minimizzare lo sforzo, butto giù la testa, inarco il torace e spingo in fuori il bacino.
Ha inizio la discesa.

Irrigidisco le gambe e tengo la nuca quanto più in asse con il corpo. E’ necessario assumere la forma più idrodinamica che il nostro corpo possa offrire.
Vedo le bollicine trattenute dal costume liberarsi e ritornare su. In realtà, io, capovolto, le vedo andare giù. Il mondo mi appare al rovescio.

Le mie orecchie sentono solo la forza irrompente della pressione che aumenta. Mi concentro per compensare.
Rallento la discesa e poi mi fermo, va bene qui.
C’è silenzio.
Il sole penetra sotto forma di un mazzo di raggi di sole. Una raggiera gialla che si muove, sinuosa, in un profondo blu.

Vedo due stelle marine su uno scoglio.
Coloratissimi pesci di piccolo taglio si nascondono tra la vegetazione.

Mi muovo lentamente.
Anche se sono circondato da sola acqua, il mio corpo continua a respirare. I tessuti consumano la riserva di ossigeno dentro i miei polmoni. Per farla durare più a lungo, devo coinvolgere i muscoli strettamente necessari per raggiungere quel branco di pesci, più là, un po’ sopra la mia testa.

Mi devo muovere come loro. Devo pensare come loro.
Per un lunghissimo minuto devo vivere da pesce.
Dopotutto dicono che discendiamo da organismi acquatici. Si spiegherebbe così il riflesso di immersione, quello che permette ai neonati di non affogare se li immergesse in acqua.

Siamo nati qui sotto.
In un brodino primordiale, milioni di anni fa, “tutto” ha avuto inizio.
Però adesso faccio fatica adesso a pensare a qualcosa più grande di me. Sto finendo l’aria.

Ho ancora qualche attimo. Mi capovolgo, nuoto con la pancia verso la superficie. Guardo il cielo blu, da qui sotto appare bianco.
I pesci del branco non hanno più paura di me. Pochi secondi sono bastati per farmi accettare nel loro gruppo, nonostante le mie dimensioni, la mia forma, le mie fattezze, la mia goffaggine.

Qua giù, respiro pace.
Il bello e il brutto stanno lassù. Fuori.
Questo posto è estraneo a tutto. Un’isola felice senza tempo.
Puoi venirci, di tanto in tanto. Non importa chi sei e cosa fai, è aperto a tutti.
Ma solo per uno o due minuti se sei bravo. Per qualcuno di più, per altri anche meno.
Ti sembreranno sempre pochi, vorresti una pausa più lunga.
Vorresti pensarci ancora un po’, vorresti risucchiare le bolle d’aria per rimandare ancora la risalita.
Prima di venirci, vorresti lasciare un post-it sul frigorifero con scritto “Ci vediamo dopo pranzo, ho bisogno di andare giù a prendere una boccata d’aria”.

Chi qui non c’è mai stato, probabilmente, non può capire.
Anzi, a qualcuno fa anche paura andare là dove il piede non può arrivare a “sentire”. Sarà paura di scoprire un posto così bello da non riuscire a lasciare, non appena ci si è accomodati.

Adesso, però, è arrivato davvero il momento di ritornare in me.
Non si può rimandare ancora.
Non posso trattenermi.

Istintivamente indirizzo gli occhi in alto e faccio a gara con le bollicine.
Metto la testa fuori e mi riapproprio velocemente della mia natura.
Respiro. Sorrido.
C'è sempre un viso amico ad aspettarmi, a vigilare per me durante l’assenza.

Fuori nulla è cambiato. Tutto è rimasto uguale, come prima.
Ho solo rubato un po’ di ossigeno e l’ho trasformato in una sensazione di pace che adesso mi pervade dentro.

Recupero ancora qualche secondo e poi ritorno giù.

martedì

Sulla prua della barca a vela

Sulla prua della barca a vela,

la fresca brezza dell’imbrunire accarezzava i miei capelli.
La schiuma delle onde, in mille schizzi, baciava la pianta dei miei piedi.
Il vento sussurrava alle orecchie poesie mai ascoltate. Le vele, per le rime, rispondevano.
Un gabbiano solitario, in volo planare, ha salutato ed è andato via.

Sulla prua della barca a vela,
mi sono sentito invaso da una sensazione di assoluta libertà.
Libertà di spirito.

Con il piccolo trolley colorato in mano

Ho tagliato i capelli,
ho comprato un libro,
e sono rientrato in casa.
Sono uscito pochi minuti dopo, con il piccolo trolley colorato in mano.

E’ tempo di ferie.

mercoledì

Era venerdì ieri?

Ho lavorato tutta la notte, fino a mattina, quando finalmente è suonata la sveglia.
Allora ho sbarrato gli occhi e li ho richiusi. La mano aveva già azionato lo snooze.

E’ già il terzo giorno consecutivo che lavoro nel sonno; e la terza mattina consecutiva che la mia mente, in dormiveglia, cerca di autoconvincersi che sia sabato.

L’illusione dura pochi attimi. Qualche frazione di secondo per recuperare un respiro più veloce, ossigenare il cervello e pormi la fatidica domanda:
ok adesso stammi ad ascoltare, concentrati… era venerdì ieri?

Ovviamente no!

C’è bisogno di ferie.

venerdì

Credo che bisogna sentirsi un po’ soli nella vita

Credo che bisogna sentirsi un po’ soli nella vita,
per imparare che i muri saranno anche duri ma ci si può parlare.

E io ci ho parlato parecchio.

lunedì

Tiro dritto

Dal confino in cui sono stato obbligato, ho da dire una cosa.

Io non aspetto che ritornino i sorrisi e il bel tempo.
Che tuoni!

Tiro dritto.
In culo gli amici in sciopero.

sabato

Sciopero dell’amicizia

Gli amici si sono dispersi ancora una volta.

Alcuni sono partiti, altri hanno cambiato giro.
E infine i migliori, quelli con cui ho condiviso tutto da due anni a questa parte, sono entrati in sciopero.

Sciopero dell’amicizia.

Con te non è facile, capisci?!
Con tutti i limiti che poni!
E poi chi ti credi di essere il depositario della suprema verità?
Per le stronzate che hai detto quella sera saresti da appendere ad un muro.
Con te per ora ho perso il sorriso, al momento non mi riesce.

Quindi?
A casa.
Per scelta di altri.

martedì

Beh insomma non c’è problema, sono bravo.

Sì hai ragione tu, non ne ho diritto.
Sono andato io via da te.

Dammi solo il tempo di una canzone lenta, di una canzone dolce.
Le note di un pianoforte per riflettere.
Uno specchio sincero nella penombra di questa notte.

Adesso.
E metterò via la parte peggiore di me.

Io…
cioè, per me…
...beh insomma non c’è problema, sono bravo.

Tu…
prendi per te ciò che non abbiamo saputo dare a noi stessi.
Dai non piangere, sarà facile cosa credi?

Ti ho amata. Pensami.

domenica

Mi sono perso

Chi stai frequentando Mara? Chi è l’amico con cui hai passato il weekend al mare?
Chi è lui?
Come chi? Quello di cui ti vergogni a parlare se ti chiedo “chi è lui”?

Ok, lascia perdere, non lo conosco, non m’importa. Sei felice?
No, aspetta.

No…
mi sono perso.
Ma… no è che… sai… niente niente!
Mi sono perso.

Cazzo ma sono infelice?

mercoledì

Talento, e vai dove vuoi!

Ho letto i pensieri di una ragazza stasera.
Non so come si chiama, non è importante. Io “la chiamo” con il terzo segnalibro nel raccoglitore dei blog.

E’ una ventunenne.
Descriveva le proprie aspettative di vita e immaginava un futuro lavorativo.
Da promettente giornalista, ha trasmesso il concetto mediante due immagini: kili di patine da friggere al McDonald dopo gli studi, e la carta dell’attestato di laurea per pulirsi il culo.

In verità ha usato l’espressione “per altri usi più fisiologici”. La perifrasi mi ha fatto anche parecchio sorridere perché da precedenti letture avevo notato l’abuso del termine “culo”. Una simpatica “gratuità” che avevo preso come una personalissima “firma”.

Il suo pessimismo mi ha rimandato al mio.
Il mio pessimismo era la mia ombra quando passeggiavo per la facoltà, quando ero seduto durante la lezione, quando ritornavo a casa in bus.
Era uno specchio quando un collega mi raccontava di quell’altro collega che non aveva trovato lavoro e si era ridotto ad uno schiavo per due lire.

Il McDonald…
Si è vero, ne ho visti studenti al bancone del McDonald. E per questo mi verrebbe da rispondere : ”che ti piaccia o no, è il mercato bambina!”.
E invece no.
Sono convinto, oggi, di poter rispondere:
“Talento, ragazza mia! Talento, e vai dove vuoi!”

(Pessimismo a parte, delle altre verità di cui la ragazza del terzo segnalibro ha parlato, tratterò più in là.)

sabato

La chiamo tecnica dell'inversione

La chiamo tecnica dell'inversione.

Mi baci, poi mi dici "cosa stiamo facendo? No, non dovremmo" e poi mi baci ancora.
Serve in realtà per dire "Non c'è un domani. Stasera mi mandi estasi, stasera le tue labbra sono mie. Ma domani no, non ci contare, non ci pensare."

E' una tecnica subdola e per questo la detesto.
Ieri questa tecnica l'ho adoperata io.

lunedì

Oggi parlano tutti di te, Giovanna!

E’ energica, è calda, è super-estiva e parla di Giovanna.
Tutti la ballano e ripetono il nome Giovanna al battito di mani.

E' un tormentone estivo anni '80.
Mette allegria.

Poi l’ascolti bene e ti accorgi che Giovanna è una donna che non ama.
Semina odio e rende infelici.
Giovanna sei cieca? I tuoi fratelli muoiono, le madri hanno paura di te per il male che puoi fare ai loro figli.
Giovanna sei sorda? Le armi scoppiano, i tamburi battono.

Giovanna ha conosciuto un sistema chiamato Apartheid.
I neri con i neri, i bianchi con i bianchi.
Si diceva che era meglio così: ognuno con le proprie tradizioni e la propria cultura.
Il Paese crescerà meglio e più in fretta.

Poi i bianchi vietano le scuole e le università ai neri, la partecipazione alle decisioni politiche e infine ogni diritto umano e civile.

Oggi Giovanna è una donna cambiata.
Oggi Giovanna gioca a calcio.
Oggi parlano tutti di te, Giovanna!

E’ una bella storia Johannesburg,
ma c’è ancora tanto da fare: “Gimme me hope, Johanna, gimme hope” ancora un po’!

domenica

Tutto il resto è moralismo

A chi dice che non è giusto giudicare perché una persona non la si può conoscere fino in fondo, dico che lui stesso è il primo a farlo.

Il giudizio è innato nell’uomo, tanto quanto il pregiudizio.

Bastano 90 secondi per partorire un’idea su una persona appena conosciuta e 90 minuti prima che la si possa rovesciare. In meglio o in peggio: chissà.
Lo so, a nessuno piace essere psicanalizzati dalle prime 3 frasi, ma siamo noi stessi i primi a farlo, involontariamente ovvio.
Va così.

La differenza tra una mente ottusa e una aperta sta nella velocità che si impiega nell'arricchire e nel confutare la famosa “prima idea”.

Tutto il resto è moralismo.

L’incontro che non ti aspetti

Sto aspettando gli amici che passino sotto casa per andare alla festa di inizio estate che si tiene ogni anno non lontano da qui.

L’anno scorso la stessa serata era iniziata allo stesso modo.
Qualche drink per dare un senso ad una serata che senso non ha, due pezzi dance tanto per sciogliersi un pò, il rituale dei fuochi d’artificio e poi a casa.

Nella strada verso il parcheggio, l’incontro che non ti aspetti.
Anche lei aveva cercato un senso alla serata dentro alcuni drink. In due avevamo svuotato più di qualche bicchiere.
Due chiacchere facendo un pezzo di strada a piedi, poi ancora seduti su una panchina vicino la macchina, fino a quasi mattina.

Ai primi albori, siamo andati a casa mia.

mercoledì

Anche questo è comunicare

Col tempo ho imparato che le storie hanno un inizio e hanno una fine.
Ciò che invece faccio fatica ad accettare, è che anche le amicizie hanno un inizio e hanno una fine.

Non ho chiamato Giulio, non ci sono state parole tra noi.
Parlano i silenzi.
Anche questo è comunicare.

Ma non è finita, di questo sono sicuro.

domenica

Mi piace stare alla guida di notte

Mi piace stare alla guida di notte.
Mi piacciono le luci rosse e bianche del quadrante dell’auto che rompono l’oscurità.
Stanotte mentre rientravo in casa ho beccato una stazione radio che trasmetteva successi italiani uno dopo l’altro.
Le ho cantate tutte.
Stavo così bene che avrei fatto il pieno, avrei imboccato un’autostrada e avrei continuato così per ore.

giovedì

Vincere, poi, cosa?

Giulio tace.

Più o meno da quel giorno in cui ho avuto poco tatto nel commentare quel ragazzo che sarebbe diventato di li a poco il suo ragazzo.
Sfighe di routine.

Tace per dispetto o tace per mancanza di tempo. Non so.
Io, invece, taccio per reazione istintiva di paura.
Paura di perdere un amico.
Reagire per vincerla.

Vincere, poi, cosa?

sabato

Studente universitario

E poi arriva il giorno in cui con un paio di scarpe buone ai piedi e una camicia profumata si dà uno sguardo a due o tre fotografie.

Qui sono seduto sulla mia scrivania davanti 3 minacciosi libri. Lacrime, sangue, sudore... e zanzare.
Qui le T-Shirt mai stirate, una sopra l’altra su una sedia. Una montagna di T-Shirt.
Oh, eccole, le converse che puzzavano, ci facevo 4 stagioni.
Qui due maglioni in casa perchè il gas costa e poi là dietro, sul muro, gradazioni miste di muffe.
In questa 3 stendibiancheria parcheggiati, in corridoio, ad incastro.
Una giornata di pioggia, i jeans bagnati… ho perso il 12, vado a lezione a piedi.
Bella questa, una birra con i miei colleghi e le ragazze conosciute quella sera.
Aglio oglio e peperoncino: le mitiche spaghettate notturne a casa di Michele con gli altri ragazzi… viva il fuoriorario selvaggio.
In questa invece piango nella mia stanza. Sarà stata la solita frustrazione o il senso di eterna privazione. Magari l’ennesimo fallimento nella ricerca di equilibri sconosciuti. Probabilmente uno sfogo nervoso dopo 10 ore di studio o dopo nessuna ora di studio. O semplicemente era finita con una ex!

Guardo ancora qualche altra istantanea di quest’album prima di richiuderlo.
Sorrido: sono io questo… questo studente universitario.

Solo un po’ più cresciuto ma nient’altro che io.
Non c’è voluto poi granchè per volersi bene. Giusto un giro di boa.
Ma è stato un gran bel film.

martedì

Si respira una buona aria

A giugno è già alto il sole, quando esco per andare a lavoro.

I raggi danno un tocco di “giallo limone” anche sulle code ai semafori.
La brezza mattutina, che entra dal finestrino abbassato, sveglia i visi addormentati.
Si respira una buona aria.

Abbraccio il nuovo giorno con la curiosità di chi si aspetta una sorpresa dal domani.

Quest’oggi una donna dallo straordinario fascino ha attraversato le strisce pedonali davanti a me; dietro i miei occhiali scuri le ho dato il buongiorno.

mercoledì

Il tappo dello spumante

C'è il tappo dello spumante di ieri sulla mia scrivania.

Lo conserverò.

Il tappo della bottiglia che abbiamo aperto per “battezzare” la mia auto nuova.
Ho preparato una cena per 7 persone. Abbiamo mangiato e poi siamo scesi giù in parcheggio a brindare.

sabato

Però che sinfonie

Le storie sono fatte così… nascono e poi finiscono.
La storia con Federica, invece, è finita prima di cominciare.

Non che ne facessi solo una questione fisica, ma io non ce l’avrei fatta tutte le volte a rivestirmi nel momento di massimo piacere.
E non ce l’avrei fatta neanche con un piacere a metà.
Quanto all’idea poi di “violare” io, e per la prima volta, il suo estremo idealismo, in un ipotetico slancio di ripensamento… beh, no no, non era il caso: ci vuole amore in alcuni casi, quell’amore che qui non c’era.

Però che sinfonie mentre tu suonavi il pianoforte Federica, e io ti baciavo il collo.

martedì

Spazio vita

Vado a letto tardi.

Lo so non dovrei, ogni mattina al suono della sveglia mi maledico per questo.
Eppure non riesco a “smettere”.

Dalle 23 in poi il tempo è solo mio.
Dalle 23 in poi io ascolto me stesso.

Leggo, guardo distrattamente la tv, girovago in internet, mangio un dolcetto a letto.
Odio le telefonate dalle 23 in poi. Qualche sms fa comunque piacere, ma non troppi.
E se sono in giro, se sono uscito… beh allora faccio di tutto per non tornare a casa tardi.
Non posso perdermi l’appuntamento con il mio “spazio vita”.

giovedì

La dea del bacio

Il bacio atteso è arrivato.
Lei suonava il pianoforte. Io le stavo accanto in contemplazione.
Dentro un portalampada in vimini, bruciava sinuosa una candela.

In quel gioco di ombre e armonie, ho scoperto un’esplosiva passionalità nascosta: la sua.

mercoledì

Affogherò nel piacere

Ardo del desiderio di baciarla e di annusarle il collo; sì di sentire l’odore della sua femminilità decisa sotto il lobo.

Sento elettricità nei contatti.

Eppure sono convinto che Federica non sia la ragazza che faccia per me.
I mille input sono chiari!

Sto andando irrimediabilmente ed egoisticamente incontro all’errore.
Poggerò sulle sue labbra le mie e affogherò nel piacere dei movimenti della lingua, poi forse mi sveglierò.

lunedì

L'ultimo giorno di ferie

Arriva sempre l’ultimo giorno di ferie.

Mi guardo indietro e penso di averle sprecate. Poi in verità non potevo sfruttarle meglio.

No, non sono andato alle maldive. Nemmeno a sciare. Niente di esotico, men che meno esoterico.
Ho riposato, riposato e riposato.

Le avevo invocate in pesante deficit di sonno e con una buona dose di stress mentale. Ho dormito quanto basta, mi sono riempito di buoni propositi e sono carico di entusiasmo per affrontare le difficoltà di tutti i giorni. Più "ferie" di così?

venerdì

Punto

E con la telefonata di stasera, ho sempre più chiaro perché con Mara il rapporto non è mai decollato. Non riuscivamo a prenderci per il verso giusto. Non riuscivamo a capire reciprocamente cosa ci servisse in un dato istante.
Giudizi e critiche, al posto di consigli e comprensione.

E non abbiamo mai trovato modo affinchè andasse diversamente. Neanche sforzandosi.
Punto.

sabato

That's all "rocks"

Sono stato, qualche giorno, fa al concerto dei Litfiba: il Reunion tour.
Sfattoni che vomitavano in platea, ubriachi al pogo sfrenato, torsi nudi e sudore... that’s all "rocks"!

Tra i 16 e i 18 anni ero nella fase dell’adorazione!
Sono andato al concerto per chiudere un anello, un ciclo. Ero troppo piccolo allora, non potevo andare ai concerti. Poi nel ’99 si sono sciolti.

Tra capelli bianchi (i loro) e canzoni sempre uguali ho sperimentato flashback adolescenziali folgoranti.

Non so però.... però forse "qualcosa è cambiato", qualcosa si è rotto. Loro? io?
Ci sto pensando.
Al momento, penso che mi sono ripreso ciò che non ho potuto prendermi tempo fa. Non è che li ascoltassi ancora, ma era più un gesto simbolico.

domenica

Un tronista mancato

Giulio sta parlando con un’amica, è una commessa.
Mi ha trascinato nella sua profumeria mentre facevamo un giro in centro, sabato pomeriggio.

Seguo Giulio molto volentieri quando mi presenta le sue nuove amiche. Generalmente le persone che lo attraggono sono le più eclettiche, con almeno una storia strana, bizzarra, singolare, da raccontare. Non posso che essere incuriosito da esse.

Osservo Giulio, sorride sempre quando conversa. Noto che la sua carnagione olivastra risalta, illuminata dai riflettori interni al negozio. La barba “di tre giorni”, poi, aggiunge quel tono di “maschio” su cui Giorgia si è già persa in un fantasy da più puntate.

Accanto a Giulio sfiguro, passo praticamente inosservato.
Tra me e Giulio, il figo della situazione è lui. Praticamente un tronista mancato.
Giorgia è solo un esempio. Valeria, Ilaria, Anna e tante altre pagherebbero per una notte di sesso con Giulio, il mio migliore amico.
I loro occhi ardono di peccaminoso desiderio davanti gli occhi di Giulio.
Ardono persino, quelli di Samanta, che non ha la “h” ma ha un marito e un figliolo in età adolescenziale.

C’è un dettaglio in tutto questo: Giulio è gay.

Entrano clienti in profumeria, salutiamo Giorgia e andiamo.

venerdì

L'attesa di un momento

Le finali le vinco quando mi sento a mio agio con me stesso.

Riscontro discreto successo con una certa tipologia di ragazze. Quelle brillanti, sveglie, quelle che riescono a sostenere un dialogo che si districa tra ironia, ilarità, sobrietà e serietà.

Mi reputo un abile palleggiatore.
Seguendo fili logici del caso, posso parlare dell’ultima puntata di X-Factor e passare poi a politiche economiche. Non sono un oratore, né un tuttologo. Quando ci si addentra nei terreni della mia ignoranza mi piace porre domande, chiedere, scoprire cosa può trasmettermi di nuovo l’altra persona.
La palla rimbalza e rimbalza, e non tocca mai terra.

Ho un debole per quelle ragazze che possono darmi qualcosa di nuovo, qualcosa di interessante o di curioso di cui ignoravo anche solo l’esistenza, o semplicemente un punto di vista che non avevo mai considerato, purché segua una logica ovviamente.

Ed è così che tutte le volte mi sento stregato ma non fulminato.

Sto proprio aspettando quel momento in cui sentirò il colpo di fulmine contemporaneamente al “colpo della strega”.
Sarà interessante vedere se colto da cotanta emozione ne uscirò vivo, al momento mi viene da pensare che a quel punto potrei anche morire… di felicità.

mercoledì

E invece no.

E invece no, non era per niente facile!
Mi blocco. Retrocedo. Troppa bellezza, per me.
Divento un uomo di media classifica, e minuto dopo minuto comincio a perdere le partite una dopo l’altra fino allo scontro salvezza.
Allo scontro salvezza, do forfait e retrocedo in serie B a tavolino.

E’ questo quello che mi capita con le ragazze da 20 mila volt, quelle che provocano la scarica fulminante a prima vista.

Esteriormente, per carità, non si nota nulla. Gestisco la situazione, metto in mostra quanto più brillantezza possibile. E’ interiormente che perdo.

Le finali nel calcio non le vincono necessariamente i più forti, ma sicuramente le vincono quelli che, fino al midollo, vogliono vincerle.

domenica

Sì facile!

No dai, diciamolo, sono io che non sono riuscito a crearmi l’occasione.

In fondo era facile: bastava che le chiedessi un passaggio a casa mia con la sua macchina, quando ci ha salutato per andare via.
Ero giusto a piedi. Non dovevo neanche invertarmi di essere a piedi, lasciare la macchina a chilometri da casa mia e poi doverla recuperare domenica mattina.

Sotto casa l’avrei salutata, le avrei detto quanto bene mi fossi sentito quella sera con i miei amici, le avrei chiesto come si fosse sentita lei, infine le avrei lasciato un sorriso e il mio numero di cellulare.
In fondo era facile! Sì facile!

venerdì

Metti un sabato sera a cena

Eravamo allo stesso tavolo sabato. Amici in comune. Così ho conosciuto Carla.
Mangiavo e la guardavo furtivamente. Il mascara agli occhi le sta una favola.
Parlavo con gli amici che mi stavano accanto e guardavo ancora furtivamente lei. Un maglioncino viola, una collana di pietre e le mani curatissime. Bellissime.

Qualche battuta, uno scambio di parole, niente più. Sempre molto lontana da me.
Non ho proprio avuto occasioni.

martedì

Ho ottenuto ciò che volevo

Un lavoro, anzi no, il mio lavoro: tutto quello per cui ho faticato anni sui libri.
Eccomi qui, adesso, sulla mia scrivania con la prima busta paga in mano. Una soddisfazione unica e paragonabile a quella provata il giorno della laurea.

Ho ottenuto ciò che volevo.

Tengo tra le mani, in questa busta paga, in nero su bianco, la mia indipendenza economica.
L’ho immaginato per anni quel giorno in cui avrei potuto decidere della mia vita, dei miei acquisti, dei miei viaggi.
Quel giorno è oggi.

lunedì

La favola di un uomo diviso tra amore e musica

Questo è il mio film preferito.

Un brivido. Solo questo, non vi racconto altro se non lo avete visto.
Un brivido ogni volta che lo guardo, che lo ascolto, che lo leggo e che cerco di farlo mio.

domenica

Un pò di me

Questo sono io.
Sono io sulla mia bici.
La domenica ne approfitto per due pedalate.
Ci sono tanti modi per godere del tempo libero della domenica. Questo è uno dei tanti.

Il resto dei giorni lo passo in ufficio.
Sono un impiegato.
Sulla carta un Metalmeccanico, ma non indosso un elmetto giallo; passo la mia esistenza, seduto, faccia a faccia con un computer.
Il mio lavoro è risolvere problemi. Per 8 ore e qualcosina in più.

Esco di casa quando le lancette segnano le 8, rientro e le trovo allo stesso posto.
Sembra che il tempo non sia mai passato lì dentro.
Penso spesso che mi piacerebbe trovarci una donna ad aspettarmi.
Magari con un bicchiere in mano e un altro, pieno, pronto per un drink insieme.
A volte, perché no, vestita solo del bicchiere.

Inizio a vivere tra le 20.00 e le 20.30.
Una doccia, un album di canzoni rilassanti, la posta del giorno, il trillo del microonde che ha in serbo un preparato chimico pronto in 5 minuti, e poi qualche pagina di libro prima di andare a dormire.
A volte guardo un film.