domenica

Infatti

Domenica pomeriggio.
Pioggia battente da ieri.
Ho chiuso anche la serranda perché gli spifferi sono diventati glaciali
e qui i caloriferi sono ancora spenti.
Sto al computer con un golf di lana largo, una tazza di the accanto e una lucina fioca.

Ascolto le più struggenti canzoni che la musica leggera italiana abbia prodotto a cavallo dei '70.
Quelle di amori infiniti che si allontanano ma non finiscono, di storie impossibili, di "spiegami perché a noi".
Hanno riverberi esagerati e una qualità audio infima.
Roba da vergognarsi e da non non dire a nessuno!

Penso ancora a lei.

La stessa frase neanche due giorni l'ho sentita da Alessandro.
Aveva lo sguardo nel vuoto.
- "Ti ha lasciato lei?" gli ho chiesto
- "Bisogna essere fessi per pensare a una che si è lasciato, non credi?"
- "Infatti" ho ribadito annuendo

Infatti... devo essere fesso.

mercoledì

Le involuzioni umane

Le "involuzioni umane" che scaturiscono inaspettatamente da questo corso di inglese, a quanto pare non colpiscono solo me.
Stasera ho assistito all'impietosa scena di uomini, sulla cinquantina passata, implorare meno compiti per casa.
E siccome la storia e fatta di corsi e ricorsi, ho già ampiamente previsto che finito ottobre e archiviata la timidezza iniziale, ascolterò le più nefande scuse per giustificare gli esercizi non svolti.

sabato

Un piano B nell'eventualità

Solo 3 anni fa avrei escluso categoricamente l'ipotesi "estero".
Poi l'acqua diventa stagnante, ti dicono che le pepite sono al di là delle montagne, che i cercatori d'oro si sono già messi in viaggio, vuoi che tanto una casa non ce l'ho né qui né altrove e allora ci penso.

Elaborando un piano B nell'eventualità di un taglio netto, ho deciso di iscrivermi ad un corso di inglese. Perché a scriverlo e leggerlo ok, ma poi a parlarlo come un John Smith qualunque... insomma.

Il lato tragico di questa storia è il costo del corso, il lato comico è che quel fastidio ancestrale che è ritornato a farmi compagnia: avere un weekend davanti e dei compiti per casa da dover finire.

Di sabato mattina

Ok tante volte faccio mezzogiorno,
e invece di sabato mi piace svegliarmi presto ma non troppo, prendere un caffè, fare una doccia e con ancora un asciugamano addosso accendere il pc, fare uscire dalle casse qualcosa di energico (ma non invasivo) e riordinare la mia vita.
Fare il punto, prendere decisioni, pianificare, aggiustare il tiro e anche fare la lista della spesa (eh sì va fatta anche quella).
Praticamente è come quando sono a lavoro, solo che focalizzo tutta la mia attenzione su ciò che è solo mio.
Di sabato mattina, rilassato e coi capelli ancora umidi, mi sembra tutto più chiaro e lineare. Anche la caffeina fa il suo, per carità.
Poi un tocco alla barba, una pettinata per finto effetto spettinato, due gocce di Hugo Boss, occhiali da sole e sono fuori.

Baba O'Riley degli Who.
Oggi è stata la prima a rompere il silenzio. Con quell'intro tutto suo, gli accordi maggiori alla tastiera e il rullo di batteria che lancia la carica.

lunedì

Niente parole

Ogni tanto si deve pur fare il punto della situazione.
Allor dunque, dalla cronologia degli ultimi 4 mesi.

Valentina. Una che sa cosa vuole e che darebbe le mie stesse "spiegazioni" del tipo: no senti, sono single e sto bene così.
Alla prima uscita ci autoeliminamo a vicenda. Lei col suo snobbismo, io sul suo letto.
Niente magia. (neanche prestigibilità)

Chiara. Una che non sa cosa vuole, finché in un attacco di... "fame"... non vai diretto al collo come Dracula e allora sembra sapere cosa vuole: ti allontana dicendoti che prima si finisce di guardare il dvd e dopo si fanno le cosine. Chi non apprezza il fuori-programma piccante, non capirà mai che volendo le cosine si possono fare prima, durante e dopo. Con buono placito del tasto "rewind".
Niente spiegazioni. (forward)

Elisa. 26 anni. Ma solo all'anagrafe.
Palatina del "no sesso senza amore".
Bene, non ci provo nemmeno. Me ne sto sulle mie. Ognuno sulle sue e tutti contenti.
Ma lei non è contenta, non è paga. A capo di una personale crociata e investita della missione di evangelizzare questo mondo sporco e deviato, cerca di convincermi che non può esistere un contatto fisico senza un sentimento d'amore. Di convincermi non ci va neanche vicino, però l'impressione, di una che crede in ciò che dice, arriva persino a darmela. Poi un giorno mi arriva un mms. E' lei... come mamma l'ha fatta.
Niente crociate. (Le crociate furuno una farsa, lo sanno anche i muri del liceo)

Lorena. Una che le chiedi che ore sono e ti ritrovi ad ascoltare 30 minuti di monologo auto-celebrativo.
<<Eh sì eh... perché mi sono laurata un anno in anticipo, ero la prima del mio corso, poi ho lavorato tre anni in una multinazionale a Londra prima di rientrare in Italia, parlo fluentemente 4 lingue, beh 6.. se consideriamo latino e greco antico (ride). A 6 anni suonavo il pianoforte. Se avessi continuato col nuoto, adesso farei la nuotatrice professionista. Mamma voleva che diventassi la nuova Novella Calligaris. Mi girano intorno 3 ragazzi. Tu non mi hai ancora invitato a cena e neanche un aperitivo>>.
Neanche un bicchiere d'acqua al bar.

Poi una sera siamo tutti a casa di Anna e Anna fa le presentazioni:
- Lei è mia cugina Marzia, lavora a Torino è venuta finalmente a trovarmi
- Piacere mio Marzia! - "Encantado" lampeggia sulla mia fronte.
Sento quella sensazione che non sento da quando c'erano ancora le lire credo.
Passo in rassegna per un saluto tutto il resto degli amici e prendo posto strategicamente accanto a Marzia.
La conversazione fila liscia. Il suo modo di parlare è morbido. Il suo atteggiamento è composto. La sua semplicità è eleganza.
Mi trasmette relax. Lei parla e io guardo come veste. Mi piace. Il seno è prosperoso... oddio se ne sarà accorta?! meglio sorridere.
Mi sento come avevamo 15 anni che con quella con cui ti ci volevi fidanzare non pensavi proprio, lì sulle prime, ad andarci a letto. Avresti vissuto di un mano nella mano e baciato il guanciale pensando fosse lei.
Formulo a mente la mia prossima frase "Senti... domani mattina, se ti va, ti accompagno per un giro turistico in centro, che te ne pare?"
- "Che programmi hai domani, Marzia?" - timidamente mi apro il terreno.
- "Domani riparto. Ho lasciato solo a casa il mio ragazzo da lunedì, lo raggiugo almeno per il weekend".
Niente parole. (niente parole, almeno per tutto il weekend)

domenica

Autoeliminato alla prima


Valentina.
Una che apprezza la battuta brillante e che sa stare il gioco.
E soprattutto una che sa cosa vuole.
Simpatica e anche carina: già così abbondantemente sopra la media.
Usciamo una sera.
Conoscendola meglio noto una sfumatura un po' aristocratica che a tratti sembra sfociare in snobbismo.
Praticamente si autoelimina alla prima.
La limonata a fine serata vale una seconda uscita, magari con meno pretese.
E poi in fondo, al netto di ogni possibile aspettativa, si è scherzato e riso tutto il tempo.
Tutto il tempo... finché non arriviamo a casa sua, e lì sul suo letto, svogliato e senza stimoli, ho la senzazione di essermi autoeliminato alla prima anche io.

Ci sarà una seconda oppure no?
Passano i giorni e nessuno si sbilancia.
Va così quando manca persino la voglia di sentirsi di dire "no".

giovedì

Fame di spirito

Mi era di strada un giardino pubblico, oggi, nella pausa pranzo.
Di corsa come sempre perché quei 60 minuti sono così veloci, non sono il solo a pensarlo, che sfuggono ad ogni legge di relatività spazio-temporale.
Mentre aggredisco a passo svelto la strada, noto un omaccione di colore di lato sull'erba, all'ombra di un albero.
Sta facendo qualcosa, nella fretta inizialmente non capisco. I suoi movimenti sono lenti, ma ogni mossa sembra studiata e sperimentata più volte, per un fine che probabilmente si è già ripetuto altre volte.
Si guarda intorno, ma non ha un fare sospetto. Sembra piuttosto che cerchi qualcosa. Con le mani dispiega un fazzoletto di stoffa. No è un foulard, no... ah ecco... è un tappettino.
Lo posa per terra.
Rallento il mio passo.
Con l'agilità di brontosauro - quello dal collo lunghissimo - si piega in avanti e senza aiutarsi con le mani, si adagia sulle ginocchia e si siede suoi talloni.
Tira i lembi del tappeto per far sparire le pieghe e rivolto - suppongo - verso La Mecca ha inizio il rituale di preghiera .
L'uomo è concentrato e i suoi movimenti mimano qualcosa di negativo che viene espulso e il richiamo di un'essenza positiva, invisibile e al contempo potente.

Riprendo il mio passo, non voglio interferire, non voglio bucare la sfera di sacralità che si è formata intorno a lui.
Ma ho perso il mio ritmo forsennato. Guardo furtivamente indietro ogni tanto.
Rifletto.
E' difficile da comprendere tutto questo.
I nostri costumi occidentali si discostano da questo modo di vivere.
Forse ciò vale meno per la signora Pinella, ottuagenaria vicina di casa dei Miei, vedova da quasi 30anni e irriducibile sostenitrice del rosario.
Eppure anche per la Pinella, sono certo, è comunque un "fatto" diverso. Il suo trittico di Ave Maria e Padre nostro, è un esercizio meccanico e di memoria che andrebbe a rotoli se non tenesse il conto con la coroncina alle mani.

Nella preghiera che ho visto oggi, c'è molto di più di un "automatismo". C'è raccoglimento, meditazione,  purificazione.

Ho cercato di captare l'onda di quei pensieri, dicono che si possa entrare in contatto se ci si concentra.
Devo essere entrato a "discorsi iniziati".
Ho visto un quadretto familiare: una moglie e dei bambini.
Ho sentito un crescente senso di pace provenire da quel pregare.
Ho captato persino un ringraziamento all'albero che gentilmente ha offerto la sua ombra.

Ho finito il mio panino da quattro euro al terzo dei ventinove scalini che portano al mio ufficio.
Ciò nonostante, ho avvertito ancora un latente senso di fame.
Era fame di spirito!

lunedì

Morbida e calda

Era ancora estate ieri.
Poi in serata, da nord, nuvole e vento. E le temperature sono precipitate.
Così... di colpo, che non ne ho avuto il tempo.

Un altro sabato sera di giri e t-shirt, solo che in tenuta estiva dopo mezzanotte ho avuto freddo.
Ero con Adriana, non lontani da casa sua. Allora abbiamo ripiegato verso casa.
Siamo saliti sopra e mi sono disteso sul suo letto.
Mi piace guardare le stanze delle mie amiche dalla loro visuale. I loro soffitti sembrano sempre avere tanto da raccontare.
Mi ha offerto dell'uva bianca. Abbiamo mangiato frutta e parlato di ragazzi (lei) e di ragazze (io).
Poi prima di uscire nuovamente, ha aperto l'armadio per prendere un giubbino di mezza stagione. Per me ha scelto una felpa. Una che potesse fare al caso. Tirava un po' sulle spalle e sul davanti sembrava avesse le gobbe del suo seno, ma tutto sommato andava bene. Morbida e calda.
"Poi me la restituirai, tanto non la metto, ne ho altre" ha detto.
Il ristoro che ne ho ricevuto è nulla, rispetto alla sensazione unica che mi ha dato portare adosso qualcosa di un proprio amico/a. Pensavo questo, oggi, mentre la lavavo e stiravo per potergliela restituire pulita.

L'amicizia è fatta di questo, di cure e attenzioni gratuite, che scaldano dentro quando tutt'attorno è freddo e gelo.




mercoledì

Lontano da qui


Il primo giorno dopo le ferie, dovrebbero trascinarmi per andare a lavoro.
Le riunioni, il telefono che squilla, i clienti, le nuove scadenze, le direttive del capo.
Ma la mia testa è altrove.
Dovrei forzarmi:

  • concentrare
  • focalizzare
  • sgombrare la mente.

Al diavolo! Vaga mente mia... lontano da qui, disperditi! 5 minuti, 5 minuti ancora, di sole in fronte e di sale sulla pelle.

In pausa pranzo, per la via, due coppie in motocicletta e zaino a spalla accostano per chiedemi informazioni in inglese.
Sommessamente: profonda invidia.

lunedì

Febbre da saldi

Vivo un rapporto di amore e odio con il sistema capitalistico.
Vorrei... liberarmi l'obbligo di dover avere.
Vivrei... meglio distaccandoti da tutto il materiale.
Bisognerebbe... conquistare una dimensione spirituale e tenersi salda quella.

I buoni propositi naufragano quando ritorno da una giornata di shopping attesa e pianificata.
C'era diffusa euforia da ribassi estivi oggi... "febbre da saldi".
Sono ritornato al parcheggio con una matriosca di buste in mano. Tutta bianca, tutta nera, nero e bianca, piccolissima, media, grandissima, di cartone opaco, di plastica lucida, con la scritta piccola, con il logo gigante.
Anche le buste mettono soddisfazione. Anche se le cestino immediatamente. Ma sono belle, anche quelle.

Ho speso un terzo dello stipendio di questo mese... ok, ma non mi pento di non aver risparmiato e aver messo da parte quella cifra.
Penso invece che se non ci fottessero con questa leva del "compra altrimenti sei demodè", non avrei esigenza di dover guadagnare un stipendio che è tre volte tanto quello che ho speso oggi. E quindi potrei lavorare meno. Ci guadagnerei in tempo e soprattutto in relax.
Alcuni vestiti li compro e poi a volte li metto pochissimo. Baratterei volentieri un terzo dello stipendio con un terzo di ore lavorative in ferie. Uscirei tre ore prima ogni giorno per un mese e me ne andrei in una distesa libera e isolata a leggere o a scrivere, fino al tramonto.
A parte rimpiazzare i capi bucherellati e visibilmente usurati, potrei andare tranquillamente avanti con un variegato guardaroba tardo anni '90 fatto di t-shirt larghissime, levis 501 e pinocchietti.

Poi una considerazione.
Se non "apparendo", come esprimeremmo gusto e stile? Per strada ad esempio, o ad un primo appuntamento?

martedì

Paura e ambizione se le danno di santa ragione

Si chiamano bivi,
tanto più se sono possibilità di vita incongruenti, antitetiche. In completa opposizione.
Ma tutte possibilità plausibili, verosimili. Sicuramente calzanti.

Dire sì ad una proposta di convivenza. Cercare una casa.
Montare una libreria nuova e mettere insieme, i miei libri, ai suoi.
Dipingere e andare a letto, con l'odore di pittura fresca alla pareti.
Fare l'amore la prima sera, quella dopo e quella dopo ancora.
Stringersi e piangere. Di felicità.
Guardarsi negli occhi o chiuderli. Seguire con la mente il suo profilo.
Poi mettere alla luce una nuova vita,
senza pensarci troppo, seguendo lo stesso istinto.

O Partire. Andare via. Lontano.
Firmare una lettera di dimissioni e consegnarla prima di poterci ripensare.
Ringraziare gli amici per tutti quei momenti. Dirsi arrivederci con una pacca sulla spalla che vuol dire "in bocca al lupo".
Dividere, tutto... un ricordo, un oggetto simbolico, un affetto materiale. Cosa è necessario? cosa è superfluo?
Distaccarsi dal volume dell'inutile, rompere con i vincoli del passato.
Mettersi in movimento. Rinnovarsi. Cambiare.
Scegliere una meta. Quasi a caso o per sentito dire.
Londra, Berlino o Copenaghen.
Ritagliarsi un luogo. Soggiornare senza un tempo prefissato.
Cercare un lavoro. Imparare una lingua. Salutare "lo straniero che c'è in me".
Fino a desiderare di rivedere casa propria.
Riprovare il gusto del ritorno.

Si chiamano bivi... della vita.
Perché scegli di vivere l'una o scegli di vivere l'altra. Ma non entrambe.
E finché non te la senti di scegliere, suoni l'inizio di un nuovo round sul tuo ring:
paura e ambizione se le danno di santa ragione.

domenica

C'è una boutique sul viale che porta in centro

C'è una boutique sul viale che porta in centro.
Se mi fermo sulla vetrina è perché ho voglia di ridere. Nei talloncini dei prezzi spesso ci leggo il mio stipendio.
Ha un non so ché di comico, pensare che dopo un mese di sveglie, di caffè, di maldischiena, di malditesta, di straordinari, di ramanzine del capo e di clienti a cui dare sempre ragione... ecco dopo un mese di tutto questo, potrei comprare uno di quei capi in vetrina. Giusto uno, uno solo.

Ieri dalla boutique è uscita una Signora. Una di quelle avanti con gli anni, ma non ancora di terza età.
Vestita di svariati miei stipendi considerando anche scarpe e accessori.
Un'altra donna l'accompagnava. Bassa, di carnagione scura, con tratti asiatici. Le uniche firme su di lei erano i marchi sulle borse degli acquisti che reggeva per la Signora al suo fianco.
La Signora parlava, parlava e parlava. Della nuora, credo che parlasse. E lei, la donna asiatica, annuiva fingendo interesse e senza mai aggiungere del suo a quanto detto.

Finché non li vedo non ci credo. I ricchi comprano quegli abiti in vetrina e quando escono i loro domestici reggono le borse per loro. Probabilmente i domestici a casa tagliano pure le etichette, sistemano i nuovi acquisti in armadio e smaltiscono le buste. Lo penso perché è una cosa che odio fare e per questo in fondo quei ricchi un po' li invidio fino a non farmene una ragione.

Il signor Brunetti del mio condominio, invece, sono sicuro che lui una ragione se la sia fatta da tempo.
Il signor Brunetti è un operaio metalmeccanico. Fa le saldature. D'estate, sotto il sole con una tuta blu e una maschera nera, quando noi tutti collasseremmo di caldo, lui è capace di far nascere un impianto industriale là dove c'erano erbacce e sterco.
Ha tre giovanotti che stanno venendo su forti, svegli e spigliati. Giocano a calcio in cortile.
La domenica mattina saltano tutti sulla multipla malandata e rientrano a sera. La gita fuori porta è il massimo della vacanza che ci si può permettere.
Si lamenta, il Signor Brunetti, che tutto aumenta e ce la fa a fatica per 5 persone.
Settembre è un incubo poi. Riaprono le scuole e bisogna comprare libri e cancelleria per tutti e tre.
Ma pare appagato il signor Brunetti. Ce l'ha con i politici ok, tutti ladri dice "non se ne salva uno", ma non ne fa una questione di classe.
C'è chi nasce operaio e compra al discount, c'è chi nasce di famiglia buona e compra in boutique.
Da quanto esiste questo mondo va in questo modo e sta bene così, per buona pace di tutti.
Puoi nascere ricco, puoi nascere operaio, o puoi nascere in Africa e pregare di non morire di malaria e fame.

Sarà.
Ma adesso io guardo la Signora "per bene" uscire dalla boutique con la domestica a fianco e per ora a me tutto questo mi sembra tanto ingiusto quanto iniquo.
Non so che lavoro faccia la Signora. Qualunque esso sia, non credo che ne abbia più diritto di me.
O del signor Brunetti, del mio condominio.

mercoledì

La porta in soffitta la chiuderò io

Prima o poi devo superarla,
questa cosa che se vedo per caso quel mio vecchio amico,
quello che eravamo come fratelli e poi ad un certo punto ci siamo odiati fino a farcene di pesanti e augurarci il peggio dalla vita...
ecco proprio lui, dicevo, non può essere che a distanza di anni il solo incrociarlo per caso, mi cambi la giornata in negativo.

Mi coglie una tristezza insostenibile. Angoscia per la delusione e per il tradimento, per la paura infondata di ritornare nelle vesti della persona che ero e che non mi piace affatto.
Ho cambiato vita, ho cambiato approccio, ma la sua maledettisima faccia è ancora lì, come una porta di soffitta che non si può chiudere.
Vorrei solo non incontrarlo mai.

Devo cambiare ottica.
Dovrei adottare la strategia "omeopatica", a cui non ho mai creduto. Rispondere al malessere con lo stesso malessere.
Devo puntarlo, fermarlo e chiedergli con molta semplicità:
"Ciao come va? E' passato così tanto tempo. Non dobbiamo ritornare amici, lo so che non ne vuoi saperne, neanche io. Volevo solo salutarti. Tutto qua. Un saluto e niente più. Un saluto che prenda finalmente il posto del... vaffanculo è lui, mi sono rovinato la giornata".

E' così semplice e se non lo faccio io, lui non lo farà mai. Continuerà ad evitarmi con quell'aria di inadeguatezza e odio che si porta dietro perché non ha mai imparato a prendere nulla di petto. Neanche adesso.
Lo farò io.
La porta in soffitta la chiuderò io.

domenica

Un gioco di magia

E' un momento adrenalico quello in cui lo sciacquone viene giù a cascata e io scruto le sorti del fazzoletto che avvolge il condom usato.
Lo so non si fa, ma non mi va di buttarlo nel cestino del bagno di casa sua.
Se fosse la mia partner allora sarebbe un discorso diverso, ma così no.
Sarà quella radicata educazione di non sporcare gli spazi altrui o il pensiero inconscio che - in questo caso- tutto inizi e finisca lì come fatto fine a se stesso e tutto rimanga come prima, persino il cestino dei rifiuti in bagno.

Potrei mettere il pallottolone di fazzoletti in tasca e liberarmene poi fuori al primo cassonetto, ma non è che sia un'alternativa allettante e allora il più delle volte sfido la fortuna pigiando sullo sciacquone, come puntare sul nero o rosso della roulette.
Se la fortuna non è dalla parte buona, il vortice d'acqua non ce la fa a riuscchiare tutto e allora vedi il maledittissimo condom galleggiare spavaldo.
Ok, è giusto, dopotutto si tratta di lattice e per sua natura non è molto incline ad inabissarsi, ma diamine una, due, tre scariche... dannazione non ne vuol proprio saperne di sparire dai miei occhi e io non ho proprio voglia di ingaggiare una lotta tra me e lui, in un ambiente che più passa il tempo e più diventa ostile.

E allora pigio.
Rien ne va plus, le jeux son faits.
Fa su e giù a pelo dell'acqua come un annegato. Dai dai dai... siiì.
Anche per questa volta è andata.
Sciacquone uno, condom zero.

Quando ritorno in camera lei mi chiede:
- Ma cosa fate voi uomini tutto questo tempo in bagno dopo aver fatto l'amore ?
Per un attimo sono tentato di rispondere "un gioco di magia" poi ci ripenso e opto per un più diplomatico:
- Ti ho forse chiesto cosa fate voi donne tutto quel tempo in bagno prima di fare l'amore ?

sabato

In questo Paese basta poco

In questo Paese basta poco.

Basta poco per sentirsi cittadini migliori.
Migliori di quello che stava dietro, nella sua macchina.
E quando ad un certo punto mi sono fermato sulla corsia di sorpasso, ha cominciato a clacsonare infuriato. Le altre macchine mi passavano a destra nella corsia di "non sorpasso" e lui invece era bloccato da me,
e questo lo innervosiva ancora di più e allora ancora più clacson.

L'ho visto dal retrovisore, che cambiava marcia, che si sbracciava sul volante, che ha accellerato brusco e mi è venuto accanto.
Ha aperto il finestrino e mi ha scaricato una valanga di improperi: io reo di essermi immotivamente fermato.

"Caro amico" - ho pensato - "lo so che non è usanza, ma guarda un po' lì davanti" - gli indicato con il dito - "accecato dalla tua frustrazione, non ti sei accorto di questa ragazza che da tempo, attende di poter attraversare sulle strisce pedonali. Attende gli idioti come te che quando le sfrecciano davanti si girano dall'altra parte facendo finta di non aver visto".

Avessi potuto fare un fermo immagine di quella faccia, quando alla fine ha capito tutto.

Mi sembra d'essere in un film

Mi sembra d'essere in un film, quando in strada, d'improvviso, una delle due
borse che tengo in mano si squarcia e la spesa si riversa sul marciapiede.
In quei film, la borsa rotta è l'arma del destino, di lì a poco arriverà qualcuno a dare una mano e quell'incontro cambierà la vita e gli eventi futuri.

Sono rimasto tre lunghi secondi a guardare la spesa, fermo immobile, con l'espressione di un bue al pascolo che vede passare un treno.
Poi ho radunato gli oggetti sparsi. Ho cercato di fare un po' di spazio nell'altra borsa, quella integra. Ho raggruppato ciò che non ha trovato posto sotto l'ascella e goffamente sono andato via.

Nessun incontro.
La prossima volta mi lascio andare ad una poco cinematografica imprecazione dal sapore liberatorio.



martedì

Pensavo si fossero estinte

Pensavo si fossero estinte.
Pensavo non ne esistessero più.
Di ragazze, che ci parli un po' dopo che te le hanno presentate...
il meteo pazzerello,
il più e il meno,
"tu di cosa ti occupi?"
e infine la buttano lì, secca-sfacciata-sfrontata: "quanto guadagni ?".

 Rimango inebetito tutte le volte. Il mio commercialista ha più pudore nel chiederlo.

sabato

E' in tempi come questi che impari a vivere di nuovo

A lavoro inseguo una promozione che non arriva e ieri ancora una volta avvisaglie del fatto che non arriverà. Mi chiedo se non sia il caso di tuffarmi nel vuoto di un'avventura nuova.

Ieri sono uscito dall'ufficio e sono andato agli allenamenti. Prima di iniziare abbiamo nominato un nuovo leader. Qualcosa a metà tra un allenatore, un motivatore e un tesoriere. Mi sono proposto. Pensavo di trovare la dimensione giusta per me in quel ruolo. Si è proposto anche Stefano e l'ha spuntata lui.
L'ha spuntata perché se ne sta sovente sulle sue, mica come me che con il mio fare irruento, con i miei princìpi sciocchi e quell'integralismo votato alla spietata razionalità finisco per tirarmi antipatie a turno di un po' tutti. E così bocciatura sonora, che fa male soprattutto sul piano personale.

Mi sono anche allontanato dal mio giro di amici.
Sono un po' stufo. Preferisco starmene da solo, in silenzio a leggere un libro o guardare un film.
Ho rotto con il Mondo, mi rifiuto di venire a compromessi, imperterrito vado avanti per la mia strada.
Alle spalle tutto sbiadisce e presto ci sarà il nulla.

Arriverà il momento di fare una scelta.
Quanto potrò galleggiare come un sughero in questo mare di tedio?
Voglio ritornare alla burrasca.
Nuotare a più non posso per rimanere a galla, poi un giorno surfare sulla cresta dell'onda più alta.
Quanto ancora di questa piatta?

Sono andato a letto distrutto e mi sono svegliato stamani inebetito.
Senza stimoli.
Non offro reazione.
Accuso.

Poi in macchina, nel traffico di ogni mattina, dopo un nervoso zapping, la mia radio si è casualmente fermata su "Times like these" dei Foo Fighters, quella che dice:

"Sono un'autostrada a una sola corsia,
sono quello che se ne va ma poi ti segue fino a casa,
sono un lampione che splende,
una luce bianca accecante che brucia solitaria.

Sono un nuovo giorno che nasce,
io sono un cielo nuovissimo a cui appendere le stelle stanotte.

Sono indeciso, rimango o me ne vado e mi lascio tutto alle spalle?

E' in tempi come questi che impari a vivere di nuovo
E' in tempi come questi che dai e dai ancora
E' in tempi come questi che impari ad amare di nuovo
E' in tempi come questi che hai tempo ed altro tempo"

In macchina stamattina ha avuto l'effetto di una preghiera.
E ho ritrovato la mia fede.

"E' in tempi come questi che impari a vivere di nuovo"

mercoledì

Tre miti ideali

Nella vita bisogna darsi dei miti e seguirli.
I miei sono: Paolo Borsellino, Steve Jobs e Dottor House.

Anche quando scrivessi loro, nessuno dei tre potrebbe rispondermi.
Nessuno dei tre potrebbe mai tradire l'idea che ho di loro.

Tre miti ideali.

C'è un non so ché di fascinoso

C'è un non so ché di fascinoso in una ragazza sola che attende alla fermata del bus.

Passo in macchina e non posso resistere dal buttare un occhio.
Di solito sono sedute sulla panchina, portano gli auricolari e guardano distrattamente dalla parte da cui prima o poi scorgeranno una sagoma arancione.

Non so se è il loro "treno" ad essere in ritardo o se sono loro in anticipo con la vita.
Loro sono lì e attendono.
E davanti, sulla strada, sfrecciano le macchine, le moto, i minuti e tutto quel gran da fare di ogni giorno.
Ferme su quella panchina, loro attendono. E non demordono.
Prima o poi arriverà il momento, una porta che si apre, un gradino da scalare e un'occasione che le prende e le porta via.




sabato

Facendo due conti

Mi sono svegliato,
assonnato mi sono trascinato in cucina e ho fatto colazione.

Dopo qualche sorso, il mondo ha cominciato a riprendere forma. Il sole già alto di questo sabato mi ha dato una mano a rinvenire. Ho ringraziato sommessamente, perché di tutto il grigiore inatteso di maggio, il mio umore cominciava a risentirne.

Con in mano la tazza, ho sfogliato il depliant che ho ritirato in agenzia immobiliare venerdì.
Non so se per l'effetto del caffé o per il prezzo di quegli eufemismi chiamate "case in vendita", ché sono dovuto correre in bagno.
E in questo bagno - chiamiamolo pure "cesso" - facendo due conti, ci rimarrò ancora un bel po'.

martedì

Quanti di quei semi sono germogliati?

Passano così 20 anni, da quel giorno in cui il giudice Giovanni Falcone divenne un compito in classe d'Italiano.
Successe tutto di sabato. Lunedì quegli uomini erano sul mio foglio protocollo coniugati al passato.
Scrivevamo delle immagini viste durante le edizioni straordanarie.
La croma blindata squarciata, la terra fumante, lo strazio e le vedove.
Quel "bastardi" pronunciato dallo zio, la desolazione sul volto di papà.

Eravamo torba fertile e incolta e ci hanno impiantato il seme della legalità,
perché spettava a noi ricostruire un giorno quello per cui "i grandi" avevano fallito.

Ventanni passano e quel giorno arriva.

Ho costruito il mio futuro con le mie mani.
Cammino a testa alta per la strada.
Venero il tricolore perché, come la Croce, si è macchiato del Sangue dei Giusti.

Sento in continuazione una voce dentro che mi dice cosa è giusto fare e neanche volendo potrei metterla a tacere,
neanche per le più piccole quisquilie, neanche davanti un naturale senso di vergogna nel rimproverare per la strada un anziano che si è liberato per terra del pacchetto vuoto di sigarette.

La corruzione mi fa puzza.
Il compromesso morale mi dà il vomito.
La mafia mi fa schifo.

Quanti di quei semi sono germogliati?
Quanti si sono sottratti dal ricercare una raccomandazione,
dall'avvicinare, adulare, servire il Potere per avere un ritorno, un lavoro, una posizione?
Quanti si sono piegati al compromesso?
Quanti?

Eravamo scolari.
Passano ventanni e siamo l'Italia.
Questa Italia.

Guardo il positivo e mi piace pensare a quanti in quei giorni abbiano "sentito la chiamata" e oggi sono giudici, magistrati, poliziotti.
Quanti sono oggi, quelli che allora furono Gian Carlo Caselli e Ilda Boccassini, volontariamente trasferitesi alla procura di Palermo e Caltanissetta all'indomani delle stragi?
Quanti?

mercoledì

Come un quadro

A volte mi chiedono "di che parla?",
"di cosa parla C'era una volta in America?"

Forse parla di un grande amore non corrisposto, forse di una grande amicizia tradita. Forse di entrambe le cose.
Ma forse non parla di niente. C'era una volta in America è come un quadro.
Un quadro dipinto su pellicola.
Ti ci siedi davanti e lo osservi. Come una tela famosa in un museo.

Deborah: Noodles tu sei la sola persona che io ho mai...
Noodles: Che hai mai? Vai avanti, che hai mai?
Deborah: Di cui mi sia importato. Ma tu mi terresti chiusa a chiave in una stanza e getteresti via la chiave, non è vero?
Noodles: Sì, credo di sì.
Deborah: Il guaio è che io ci starei anche volentieri.


In questo dialogo, e nel successivo monologo,  tutto il senso di un amore impossibile. E a volte non posso fare altro che rivedermi, non nella sostanza della battute, quanto nell'assurdo in esse.

Nessuno t'amerà mai come ti ho amato io. C'erano momenti disperati che non ne potevo più e allora pensavo a te e mi dicevo: "Deborah esiste, è la fuori, esiste!" E con quello superavo tutto. Capisci ora cosa sei per me? 


(Frammento su youtube: http://youtu.be/1Hjyx6uLC-c )

domenica

La mia mente è il motore

La mia mente è il motore,
e questa macchina ogni tanto ha bisogno di manutenzione programmata.
Anche il corpo.

Ho ripreso ad andare a correre.
La fatica è la misura di quanto fossi ingolfato.
Poi va via e resta il sollievo dell' aria nuova nei polmoni,
i muscoli tonici e tutta la grinta che serve.


Ad averlo saputo prima

L'interpretazione dei sogni è roba da donne e me ne tiro assolutamente fuori.
Ma stanotte ho sognato che la tipa della 5E, due classi accanto alla nostra, me la dava.
Sì sì "me la dava", senza ma, senza se e senza giri di parole: me la dava punto e basta.
E pensare che non mi ha mai "cagato" neanche di striscio.
Così quando meno te lo aspetti, ché un decennio è già passato da mo', costei sbuca da un meandro del mio oscuro subconscio e mi sorprende con l'inatteso regalo.
E devo dirla propria tutta: è di una stupidità bovina. Ossignore che discorsi ignoranti che faceva. Sì nel sogno, ma intanto li faceva e parecchio stupidi.
Bella ma stupida: il classico stereotipo!
L'ho sempre immaginata come una specie di Dea vivente, una musa in borghese, una madonna sotto mentite spoglie. E che non mi cagasse... beh rientrava nel normale equilibrio dell'universo per cui un'entità celeste non interagisce con anonimi coglioni qualunque.
"Ad averlo saputo prima" è stato il primo pensiero di stamattina, appena sveglio.
Già, ad averlo saputo prima.

giovedì

Neanche la metà di tutto quello che avevamo davanti

L'immagine di un american brunch oggi mi ha fatto venire in mente le colazioni con Mara.
Ci svegliamo insieme di sabato o domenica e riempivamo la tavola di alternative.
Latte, caffè, succo di arancia, tortini, fette biscottate, cereali, biscotti e cremine varie da spalmare.

Non mangiavamo neanche la metà di tutto quello che avevamo davanti,
ma tutto era necessario per l’atmosfera di quel momento di risveglio.

E poi ci si dava piccoli baci. In pigiama.


Questa faccenda dell'amore è una cosa potentissima


Io non me la tiro.
Figuriamoci, detesto le ragazze che se la tirano.
Non si dovrebbe confondere il fatto di tirarsela, con l'essere fermi e decisi. Lo dice sempre anche Giulio: “Quando si sceglie di vivere tutte le storie, tutte le occasioni che si presentano, bisogna poi saper essere fermi e decisi per non incasinarsi la vita. Stabilire sin da subito le condizioni. In modo più o meno diretto, a seconda della persona che si ha davanti”.

Non mi piace incasinarmi la vita e ancora meno non mi piace incasinarla agli altri. Aggiungo, ho proprio il terrore di incasinarla agli altri.
Ho fisso in mente uno spezzone de "la spada nella roccia". La scena della scoiattolina che si innamora di Semola, trasformato da Merlino in scoiattolino. Quando Semola ritorna bambino, la scoiattolina prende una batosta senza precedenti. La musica di sottofondo si fa triste e la scoiattolina corre nella tana a piangere.
Ecco se  io potessi, pur di non sentire quel singhiozzare, rimarrei scoiattolino a vita.
E' per questo che penso che Semola doveva dichiarare subito la sua natura di umano. Che poi non si può neanche dire che non l’abbia fatto. Diamine ci ha provato in tutti i modi!
A volte le scoiattoline sono così cieche e sorde e fanno maledettamente di testa loro.

Ehhhhh…. ha ragione Merlino, quanto verità e quanta saggezza in un cartone animato:
"Vedi giovanotto, questa faccenda dell'amore è una cosa potentissima... direi che è la forza più grande sulla Terra, più forte anche della forza di gravità"


martedì

Ho fatto la mia scelta, ognuno faccia la sua

La ragazza  del "non penserai di avere tutto alla prima sera" mi ha mandato un messaggio.
"Ti posso chiamare, vorrei sentire la tua voce".
Ecco che si materializza l'immagine di un treno merci che mi sta puntando in lontananza e allo stesso tempo la necessità di raggiungere al più presto lo scambio più vicino per deviare la corsa su un binario diverso.
"Non posso adesso. Ti chiamo io quando sono libero, ciao"
Una piccola bugia in nome di un sotto-inteso più elegante e meno ruvido "Non è che non possiamo vederci ancora, ma di sicuro non possiamo sentirci come lo intendi tu".
Ho fatto la mia scelta, ognuno faccia la sua.

lunedì

Chi ci guarderebbe dentro?

Mia nonna è in fissa.
Vuole che le si compri un vestito nuovo. "Una veste elegante" dice.
"Così ai piedi del letto tutti esclameranno quanto fosse sempre stata elegante la signora, sino all'ultimo".
Mi fa ridere.
Onestamente a quel punto mi importerebbe poco del nodo alla cravatta e la cintura ai pantaloni.
Un solo pensiero mi angoscia e di sicuro non è di finire nell'ossario comune.
Se oggi uscissi e non dovessi rientrare più: a chi andrebbe il mio computer? Chi ci guarderebbe dentro?

sabato

Giorni liberi non ne ho

"Giorni liberi non ne ho, davveeeroo"

Mi sono svegliato con questo ritmo in testa oggi. Ero sveglio da una decina di minuti e già la canticchiavo.
Che poi in realtà non è che ricordassi le parole. La "rifacevo" a bocca chiusa. Gli anglofoni hanno inventato un verbo proprio per questo: "hum"!
Straordinaria, la sintesi linguistica degli inglesi. Quindi sì, "hummavo" il motivetto!
Ho acceso il computer, l'ho ricercata... in pochi minuti andavo dietro l'originale fischiettando i fiati in controtempo.

Curiosi i processi mentali con cui una canzone entra in testa, nel silenzio della mattina, svegli solo da pochi minuti!

"Sono mela e me ne sto, suuul ramoooo"


mercoledì

Non penserai mica

In silenzio seduti sul divano, il suo collo, come i gatti, fa le moine con le mie labbra.
La mia mano è tra le sue gambe già da un po'.
Poi ad un certo punto i suoi muscoli si serrano, il collo si stacca e i respiri lunghi si bloccano. Allora mi sussurra seriamente: "non penserai mica di avere tutto alla prima sera?"

Certe volte sarebbe meglio tacere, specie se nel recitare quella parte si è meno credibili di Alberto Tomba nelle vesti di Alex l'Ariete.
Tant'è vero che poi...

La prossima volta che accade, giuro, risponderò secco: "non penserai mica che ci sia una seconda volta?"

martedì

Sala d'attesa

Il limbo, se esiste, deve essere come questa sala d'attesa. Con l'incognita di sapere se questo dente va estratto o no e di sottofondo il rumore del trapano del dentista.

domenica

Mi piace Mirò


Non sono per niente ferrato in pittura, ma ho deciso che nella mia casa “di un giorno” vorrò due o tre bei quadri. Li preferisco mediamente grandi e con una cornice laccata bianca, o nera, o rossa.
Due in salotto, uno in corridoio. Illuminati da faretti.
Voglio sedermi in divano e cogliere di volta in volta un dettaglio nuovo, una sfumatura di stile che non avevo notato prima. Voglio essere circondato di stile.
Anche riproduzioni di originali, perché no, potrebbero andare bene.
Mi piace Mirò.

giovedì

Cosa volevo dire

A volte non ricordo cosa volevo dire.
Tipo adesso.

sabato

Si consumava e si andava via

Bianca. Si chiama così.
Con lei, qualche mese fa, una breve storia di sesso.
Ci vedevamo una volta a settimana.
Come un fast food, si consumava e si andava via.
A volte anche anche in piedi, come quando non trovi posto ai tavolini.

A me, a dire il vero, pesava anche quella mezzoretta tra il "dopo" e i saluti.
Perché in fondo non c'era nient'altro di più di un contatto fisico che potesse fare da ponte tra noi.

Poi è andata che Bianca ha conosciuto un tipo. E con questo tipo è nata una relazione.
Quindi, il nostro spassionato vedersi si è interrotto.

L'altro giorno ricevo un messaggio.
"Ciao, ti andrebbe di vederci questa settimana?. Bianca."

Sorpreso.
Pensavo che ritornare "indietro", prima di ritrovarsi spalle al muro, fosse specialità esclusivamente maschile.

Poi qualche ora dopo: "Scusami, il mio ragazzo è ritornato. Ci eravamo lasciati. Meglio non vedersi, scusa capiscimi ma la storia con lui è più inportante".

Bianca, io di capire capisco perfettamente.
Ma... "inportante"?!.
Eddai...

martedì

Sette

Sette rotatorie da casa a lavoro.
Sette!
Scala marcia, frena, coda, riparti, accelera, cambia, frena... sette volte.
Dicono che il pensiero positivo sia un esercizio quotidiano. Beh, sette rotatorie sono meglio di sette semafori.
Bene, per oggi con il pensiero positivo è andata.

sabato

Pensavo che sarebbe passato

Giulio sta bene in ufficio, immerso nel suo nuovo lavoro. Poi quando a sera finisce, va a casa di Samuele, che con il tempo diventerà anche di Giulio. Casa di entrambi insomma.

Gli ho mandato un messaggio “vorrei proprio vederti a lavoro, felice come un bambino che ha avuto il suo giocattolo”.

Quell’altro invece è rimasto una bozza che cancellerò. Diceva “Mi sono perso. Pensavo che sarebbe passato poi così da solo. La primavera, sai, porta quel respiro di ottimismo gratuito di cui c'è bisogno. E invece è solo un casino e io sono solo. Mi manchi”.

domenica

Bisogna avere lo stile

- Chiara, basta mi sono stufato, sai cosa penso...
- Cosa?
- Voglio entrare in una band. Sarò la voce. Voglio fare rock 'n roll.
- Ma per favore, ti sei visto?
- Che ho?
- Appunto, niente! Niente di un rocker! guardati sei vestito da impiegato. Non basta la voce, bisogna avere lo stile e non ce l'hai.

Come si fa a farsi uno stile? Da dove si comincia?
Ma 'sti qui poi dove li comprano i vestiti per fare rock?

Vabbè basta, farò qualche altra cosa.

giovedì

Tempismi svizzeri

Si fa presto che uno scenario leggermente imbarazzante, diventi una situazione piuttosto fastidiosa.
E mi riferisco a quei due al piano di sopra.

Patapum e patampam, questi ci vanno dentro ogni sera da quasi due settimane. Cioè da quando lui è venuto a stabilirsi da lei. E per l'appunto è venuto a stabilirsi sopra la mia testa.

Il fatto è che la riservatezza non è nel loro essere.
E questo vuol dire che da qui sotto potrei fare la radiocronaca minuto per minuto di quanto succede sopra.

Alzerei anche un po' la musica (la mia dico), se non fosse che quel ripetuto sbattere dello schienale del letto, contro il muro, non coprisse anche la più cattiva batteria di metallo pesante.

E alla fine la solfa termina con lui che rantola come un bue investito su una strada statale e lei che, pure, allo stesso tempo, reinterpreta la scena clou del film "l'esorcista".

Che tempismi svizzeri e quanta solidarietà in questo stabile!



sabato

Come cavoli a merenda

Ho per un attimo pensato di baciare Sabrina.
Le ho dato uno strappo verso casa a fine serata,
come altre volte è capitato.

Solo che le altre volte il pensiero non mi è neanche sfiorato.
Una ragazza carina per carità, ma ci sono persone per cui certi scenari non si prendono neanche in considerazione, come cavoli a merenda.
Non ci sentiamo, non ci vediamo. Frequentiamo solo lo stesso gruppo.

Eppure, l'altra sera boh.
Due chiacchiere in scioltezza nel tragitto di ritorno.
Poi qualche attimo di silenzio prima di salutarsi.
Uno, due sguardi. Quasi imbarazzo.
Alla fine ho rotto con "ciao Sabri, buonanotte... alla prossima".
Mi ha salutato, è scesa dalla macchina ed entrata nel portone di casa.

Sono ripartito pensando "le ho guardato le labbra... ancora un poco e avrei dato un bacio a Sabrina".
Ho avuto la sensazione che appena chiuso il portone, abbia appoggiato le spalle e si sia detta "che stava succedendo?"

Disperato bisogno d'amore?! Improvvisa voglia di baciare qualcuno?
Sarebbe stato un bacio con la carica di tanta dolcezza inespressa, penso, o forse senza dolcezza, con respiri che si sarebbero fatti frenetici. E allora poi sarei salito sopra, le avrei fatto cadere le spalline della maglia, le avrei baciato i seni, sbottonato i jeans e l'avrei presa con foga. Fino all'orgasmo: inaspettato, improvviso, esplosivo.

Non lo so.
Sono quei momenti in cui tutto è possibile e allo stesso tempo così impensabile.

Quando sono ripartito ho acceso la radio in macchina per spezzare il silenzio, non volevo pensarci ancora, come non voglio pensare ai cavoli a merenda.

mercoledì

Io inseguo l’oro

Fondamentalmente mi chiedo come si fa a scegliere una donna e scegliere di rimanere con lei per sempre.
E sì che lo sono stato innamorato. Ma poi arriva quel momento in cui “cacchio che schianto quella”. Anche se non la conosci. E anche se a conoscerla “sarebbe stato meglio rimanere con il dubbio”.

Sarà che in questo non colgo gradazioni di grigi, solo bianchi e neri. Sarà un’ottica iper-razionale, ma per come la vedo, ad un certo punto si fa una scelta.
Per alcuni è “dove troverei un’altra che sceglierebbe di stare con me”, per altri è “forse potrei ambire a qualcosa di più”.

Sono vorace nei rapporti come lo sono a lavoro.
Più benefits, più sfide, più successi, più compensi.
Io inseguo margini di guadagno.
Mi rode ammetterlo e mi chiedo come sia diventato così.

E non che non lo desideri, rientrare in casa e trovare un sorriso nel volto di chi sta dalla tua parte anche quando il mondo è dell’altra.
Ma poi una mattina esco per andare a lavoro e bloccato in un ingorgo biblico, tra un concerto di clacson e di sirene spiegate, un angelo attraversa la strada a piedi e passa proprio davanti la mia macchina.
Nell’immobilità del momento, penso che potrebbe essere “Lei”, oppure "Lei" potrebbe essere un angelo ancora più radiante; una dentro la sua macchina, come me imbottigliata nello stesso ingorgo, sintonizzata sulla stessa frequenza radio, in un lunedì grigio per tutti.

Non importa chi. C’è... che Lei è lì.
E’ lì da qualche parte, ed è ancora da conoscere!
E’ questo è un pensiero che fa persino di un lunedì, il giorno zero delle più fantastiche delle avventure: la ricerca dell’oro.
Io inseguo l’oro.

domenica

Anna riempie spazi

Anna riempie spazi,
Anna quanti pensieri
che non trovano parole.

Anna non vuol stare sola.
Anna vuol andar lontano,
quanto è bello uscire e perdersi in città.

E i giorni passano anche di lì,
Anna un primo appuntamento,
Anna un bacio che lasci il segno.

Poi inizia un nuovo libro,
forse c'è un lieto fine.
Anna stesso viso,
Anna bel sorriso.

[Ascoltando "Anna e Marco", omaggio a Lucio Dalla]


sabato

Le giornate si allungano

Le giornate si allungano, sole alto la mattina, la luce è già più calda.
La primavera alle porte.
E di sabato viene di nuovo voglia di mettersi in macchina e addentrarsi nella campagna.
Alla radio, “Lately” degli Skunk Anansie.


martedì

Ti è mai capitato di sentirti di nessun luogo?

- Ti è mai capitato di sentirti di nessun luogo?
- Continuamente!

Ogni volta che mi dicono che ho un'inflessione particolare, ma nessuna in particolare.
ogni volta che svolto a destra e penso "chissà cosa c'è lì, se svoltassi adesso a sinistra".
Ogni volta che torno dai miei, cerco un negozio e non c’è più, ce n'è un altro e vende tutt’altro, e anche alla porta accanto e a quella dopo.
Ogni volta che saluto un amico andare via e penso "fin quanto ci rimango qui io?"
Ogni volta che mi presentano una ragazza, chiedo "di dove sei" ed è sempre e comunque un posto in cui non andrei mai a vivere,
Ogni volta che guardo il cielo dalla finestra, e un poco, somiglia al mio.

domenica

Tra me e me

- Vai via pure tu?
- Sì, è tardi
- Dove hai la macchina?
- Sulla parallela a questa
- Dai saluto gli altri e ti accompagno…
- Ok, grazie
- Quanto ci metti adesso per rientrare?
- 30 minuti di autostrada. Non è tanto, ma speriamo che non piova di nuovo.
- Non dovrebbe.

- Eccoci, è questa. (mentre prende le chiavi in borsa)
- Hai un SUV?! E’ dei tuoi e te l’hanno prestata?
- No, è la macchina del mio ragazzo.
- Ah! Certo… la macchina del tuo ragazzo.
- Bene, allora ciao. Ci si rivede.
- Sì, Buon rientro! Ciao.

“Ah?! Ma come ti viene in mente dire ah” - tra me e me.

sabato

Con in testa il bambino della Kinder

Dice Carmen che ama tutti. Tutti nel mondo.
Carmen ama il mondo, è così. Cioè, così dice, Carmen.
E nessuno giura, nessuno le sta antipatico.

Pare che ci sia un bambino anche dentro il peggiore uomo.
Lei lo dice meglio di me. Con parole forbite. Con la poetica del fanciullino, e bla bla bla che poi sbadiglio.
Il concetto mi si materializza nelle sembianze di un bambino e nella fattispecie il bambino delle barrette kinder degli anni '80. Lo stesso per cui siamo in tanti a sperare che nel frattempo abbia collezionato almeno tre otturazioni per carie, e aggiungo, che abbia perso il caschetto d'oro, se è vero che l'alopecia è democratica e non guarda in faccia, o in testa, a nessuno.

E che dire di quando Carmen scriveva nel suo diario "La vita ti sorride se la guardi con sorriso".

Mi sembrano cazzate, così di primo acchito.
Un po' anche di secondo acchito. E quasi quasi di terzo.

Ma siccome volevo fare un po' l'alternativo stasera, ho pensato a Carmen.
Avrei voluto scrivere un messaggio al vetriolo a Marco che da qualche giorno sta esasperando la mia pazienza.
Marco... uno di quelli che poi prima o poi finisci per conoscere quanto basta per dire che gli amici è meglio che siano altri.
Ma vuoi o non vuoi, c'è anche lui nei momenti migliori degni di un ricordo.

Così ho denaturato tutto il fastidio di questi giorni,
e gli ho scritto due righe di cuore.
In nome di una lontana amicizia,
con in testa il bambino della Kinder, la vita che ti sorride, e Carmen, e tutto l'amore per il mondo.
Mi sono sentito d'un tratto leggero. Non volevo crederci. Proprio così, in quell'istante in cui premuto invio ho amato il mondo. Tutto intero.

Che poi lo so, me ne pentirò mille volte di aver scritto qualcosa che Marco non è in grado di comprendere.
Ma può funzionare caspita, funziona!
Carmen mi viene voglia di chiamarti e dirti "yes, we can!".
No dai, adesso sembra troppo.
Carmen non ti chiamerò. "No, I don't".

mercoledì

Sembra solo ieri

Funziona così.

Funziona che lunedì mattina ti svegli e sul letto, con ancora un occhio chiuso, fissi la sveglia impietosa e speri che venga presto sera per poter rientrare in casa.
E poi viene martedì e dopo mercoledì e giovedì, e il pensiero va solo a venerdì sera.

Finalmente arriva il weekend.
Sembra un Rapido in transito al binario ovest. Così veloce che a volte lo perdi e non rimane che pensare al weekend successivo.

Passi il tempo a far passare il tempo e il tempo poi ti esaudisce e passa davvero.
E ti ritrovi ad aver superato i trenta che neanche ti ricordi cosa hai fatto in questi anni.
Hai messo insieme 10 natali, 10 compleanni, 10 ferragosti, come fossero uno solo: lo stesso.
Ti viene di rispondere che hai 27 anni e anche quelli ti sembrano ancora tanti.

Sembra solo ieri. E' questa la sensazione.

Succede allora che una notte non riesci a dormire,
ti fermi un attimo, scendi dalla giostra e ti chiedi:
"che carte ho in mano? quali mi gioco adesso? magari meglio smazzare, sai mai!"

sabato

Esito finale: per niente scontato

Sono rientrato tardi da lavoro, oggi, ma non sono stanco.
E' stata una piacevole giornata,
fatta di lavoro in scioltezza, di piccole soddisfazioni professionali e di buon umore diffuso.
Tornando a casa, ho cercato di dare un valore a questo profondo benessere.
Un valore in euro.
Non ci sono riuscito.

Dicono che tutto ha un prezzo, ma quanto è difficile a volte.
Prima o poi dovrò tirare fuori una cifra.
Aritmeticamente sommarla, e ancora sottrarla,
all'affitto di ogni 5 del mese,
al gusto per il Bello,
il caro benzina,
un fondo pensione
e un senso di appagamento personale.

Quattro numeri in sequenza per regolare il proprio modo vivere.
Quattro numeri che fanno la differenza nell'uno... o anche nell'altro verso.
In un estremo o nell’altro.

Quattro numeri in sequenza.
Il valore dell’equilibrio: del dare e avere.
Da dividere per trenta e moltiplicare per tutti quei rientri in macchina, a fine giornata, cantando a più non posso.

Quattro numeri, solo quattro.

Li scriverò in un foglio di carta.
Ripiegherò in due il foglio, poi ancora in 4 e infine lo metterò in tasca.
Busserò alla porta del mio capo e avrà inizio la trattativa, voglio rinegoziare la mia posizione.
Esito finale: per niente scontato.

mercoledì

Di giorno invece

Dovrei smetterla di scrivere la notte.
Sono spesso spento e melanconico.
E poi si vede.
Di giorno invece...

giovedì

Tutto il buono che vorrei restasse accanto a me

La partenza di Giulio ha riaperto un vuoto che non avvertivo da anni.
Così, d’improvviso.
Sarà il tempo, saranno anche questi giorni bui e freddi, sarà non lo so…
Ho pianto.

Il giorno dopo i saluti ho avuto voglia di uscire e fare due passi in solitaria. Camminando mi sono venuti in mente tutti gli episodi passati insieme.
Le cene fatte in casa di sabato quando fuori faceva troppo freddo, i caffè delle domeniche pomeriggio, i concerti estivi. La sua festa di laurea, la mia festa di laurea. I drink che ci offrivamo reciprocamente quando abbiamo cominciato ad avere uno stipendio.
Eravamo studenti e ci ritroviamo uomini.
Con più barba e meno capelli. Le scarpe nuove, ma con più strada sotto ai piedi.

E’ stato straziante rivedere il film di questi anni attraverso la sua partenza.
Il tempo che passa,
si porta via tutto il buono che vorrei restasse accanto a me. Per sempre.
Il tempo che fa il suo,
se ne sbatte del mio bisogno di avere sotto controllo tutto. E tutti.

Sono ritornato a casa e ho pianto ancora, come non mi capitava da tempo.
In bilico tra l’accettazione del fatto e la paura di ritrovarmi solo, di nuovo, in un posto che forse non è stato mai il mio.

Bisogna che faccia qualcosa” - mi ha detto qualche istante prima che ci salutassimo – “Ho paura e sento l’eco qui dentro “ - indicandosi – “ma mi dico che andrà meglio, via via andrà meglio. Ciao amico mio, ciao!”.
Ci siamo abbracciati.

Mi ha salutato con quell’ottimismo che in questo momento ho perso.
Lo rivedrò, capiterà sicuramente occasione. Ma so che niente sarà più come prima, almeno per un po’.

A presto Giulio, farò del mio meglio, farai lo stesso tu.
See you soon.




domenica

Un tempo che non ritornerà più

Abbiamo una fatto una foto a fine serata.
La osservo sul monitor: sulla tavola ci sono i piatti sporchi e i dolci rimasti da un’abbondante cena. E c’è anche il vaso di tulipani bianchi che ha comprato Edoardo per l’occasione.
Ci abbracciamo tutti e sorridiamo, di sorrisi veri, di quelli che provocano una punta di invidia in chi non c’era.

E’ solo una fotografia di ieri sera, ma ha già tutta l’aria di quelle istantanee che congelano un tempo che non ritornerà più. Quelle fotografie così simboliche che incornici e riguardi per anni fino a sbiardirsi.

Era la cena di “saluti” per Giulio.
Giulio va via. Lascia la città.
”Andrò via, ne ho piene di continuare così. Voglio fare quello per cui ho studiato e proverò altrove”
L’aveva detto mille volte. Ogni volta parlava di una città diversa. Una volta persino di Chicago. Ma poi rientrava tutto e si andava avanti: “Pronto Giulio, che fai? Si fa un giro andiamo a bere qualcosa? Ci pensi tu a chiamare gli altri?” e ci dimenticavamo delle insoddisfazioni quotidiane, di una vita fatta di “vorrei” e progetti fatti di tre mesi in tre mesi.

Questa volta invece è stato diverso, non ci sono stati falsi annunci poi rientrati.
Era un po’ che aveva preso ad andare e venire in treno. Non lo diceva apertamente, ma quei weekend fuori casa erano le prove tecniche di convivenza con il nuovo partner.
Sono rientrato dalle ferie e quando l’ho chiamato mi ha detto che aveva lasciato il lavoro e stava facendo un giro di colloqui, là dalle parti di Samuele. Amore&lavoro, insomma.
Sono rimasto in silenzio al telefono. Aveva deciso tutto.

Mi ha richiamato di nuovo ieri.
- “Sono rientrato in città stamattina. Che fai?”
- “Facciamo un giro! così mi racconti dei colloqui”
- “No, no... sto imballando tutto. Ho trovato un lavoro. Comincio lunedì. Vado via da questa città. Trasloco. Vieni a casa mia, dobbiamo salutarci. Vieni quando vuoi, ti aspetto, sono qua. Vengono anche gli altri ragazzi più tardi, si mangia qualcosa da me”.

La cena è finita molto tardi, ho attraversato la città rientrando a casa.
Condensa sul parabrezza e strade deserte a quell'ora.
In macchina, ho realizzato davvero di sentirmi già un po’ più solo senza Giulio. Ho riconsiderato di essere qui di passaggio anch’io senza sapere che direzione prendere.
Giulio ha preso la sua. E non posso che augurargli i più vivi sorrisi come quelli nella foto che ho davanti adesso.
Con i dolci della cena rimasti sulla tavola e il vaso di tulipani bianchi, che si sa, sono simbolo di amicizia.
Amicizia sincera.

mercoledì

Ci si può sentire incompleti

Ogni tanto penso che ci si può sentire incompleti,
anche quando non si è soli.
Allora è ancora più difficile.

lunedì

E non dirmi che

Incrociare una coppia per strada e sentire che lei dice
e non dirmi che sono bigotta, è che a me fa schifo
fa sorridere e stimola la fantasia.

Adriana e Giulio

Adriana e Giulio.

Adriana ha appena concluso una storia di un semestre con un tipo.
Giulio ha appena iniziato le prove tecniche di convivenza.

Adriana ne esce distrutta. Bisogna farla uscire per farla distrarre dal senso di dipendenza che le è rimasto. Dipendenza da amore o da rancore. Non si capisce. Non lo capisce.

Giulio sente che possa essere la volta giusta. Lui così “incapace” a legarsi ad una persona sola “per sempre”, ma forse adesso…
Ha portato “di là” lo spazzolino che vuol dire aver piantato la bandierina.

Adriana è inquieta, instabile, svuotata. Ma da questo vuoto ha cominciato a ricostruire. Ha da pochi giorni un taglio di capelli nuovo, un occhialino colorato e si è iscritta in palestra. Fa gli occhietti sornioni ai ragazzi che le piacciono.

Giulio ha atteso la spinta di coraggio giusta e quando è arrivata ha detto “ok, ci sto. Proviamoci”. Altre volte avrebbe rimandato la decisione. Ma non questa volta. E’ stato pragmatico. E’ entusiasta e ottimista. Anche un po’ ansioso che non si rompa l’incantesimo.

E così Adriana è più presente adesso.
Giulio invece un po’ più lontano.
Quindi mi ritrovo ad uscire più con Adriana che con Giulio.

Adriana e Giulio.
I miei amici a targhe alterne!

domenica

Poche forse ma intense

Potrei scrivere gli stessi pensieri con cento o persino mille, altre parole.
Ma non aggiungerebbero nulla. Solo condimento, con il rischio di alterare il sapore della sostanza.
Apprezzo allora il gusto della semplicità.
Scardinare la complessità fino a possederla in ogni suo anfratto.
Contenerla tra due mani.
Come creta, scaldarla, plasmarla, darle forma.
Una nuova, una più semplice.
Se di concetti si parla, allora son parole.
Poche forse.
Ma intense.

giovedì

Smarrimento temporale

Quando andavo a scuola, alle elementari dico, la maestra ci faceva scrivere all’inizio della pagina città e data. In alto a destra.
Succedeva che al rientro dalle vacanze natalizie sbagliavo a scrivere l’anno.
Un po’ come quando pochi giorni dopo il compleanno, ti chiedono quanti anni hai e fai scena muta.
Il principio è quello. O qualcosa di simile.
Smarrimento temporale.
Ho firmato un’autocertificazione oggi.
“Li 18 Gennaio 2011”.
Appunto!
Scusi, me ne dia un altro da compilare, così viene pulito

lunedì

Liberarsi del vecchio

Ho fatto un po’ di pulizia. Due buste di plastica di superfluo.
Liberarsi del vecchio: cosa c’è di più rilassante ad'inizio anno?

mercoledì

Per quel tanto di rumore che basta

Un aperitivo con Adriana, non appena rientrato.
Per quel tanto di rumore che basta,
a coprire il silenzio che rimane,
quando si va via dalla casa di famiglia,
dove ognuno ha le sue,
e le racconta.

domenica

Quello che passa per la testa

Ho fatto visita alla nonna prima di ripartire. Il pomeriggio da lei passa così lento.
La misura del battito è diversa.
E' per lo meno il doppio.
Lei seduta su una poltroncina e i raggi del sole che entrano dalla finestra e si proiettano dapprima sul muro più a sinistra e poi, a fine giornata, raggiungono il muro più a destra. E lei ancora seduta su quella poltroncina.

Domani i miei battiti correranno all'impazzata. Nuove scadenze, altre consegne e tanto stress.
Feste finite. Si riprende.
Si stava così bene a colmare il tempo con un po' di tutto...
...di tutto quello che passa per la testa.

sabato

Ottobre Millenovecentouno

Sono stato ai giardini pubblici.
Per caso. Mi ci sono ritrovato per caso.
Ma avevo parcheggiato lì vicino e allora, di ritorno, “divagazione sul tema”. Tanto di questi giorni ho solo l’imbarazzo di colmare il tempo.

Mani in tasca, ho passeggiato un po’ e mi sono concentrato sugli odori, alla ricerca di un’aria che respiravo tutti i giorni quando avevo meno di sei anni.
E ho provato la sensazione di Totò in Nuovo Cinema Paradiso di Tornatore, che poi è l’emblema del “ritorno”. Di ogni tipo di “ritorno”, intendo.

Vent’anni che non ci mettevo piede.
Tutto congelato come allora, eppure così diverso.
Abbandonati. Completamente abbandonati i giardini pubblici.
Erbacce, muri crollati, un monumento in marmo bianco sfregiato da un graffito proprio accanto ad una targa di rame ossidato: “Alla cittadinanza, Ottobre 1901”.
Una panchina in ferro battuto divelta, un albero agonizzante, due bottiglie di vino vuote per terra.
Poi deserto. E desolazione.

C’erano le motorette una volta, quelle con i paraurti grossi di gomma tutto attorno. Quelle che davi 500 lire al tipo e ci giravi 5 minuti e se eri troppo piccolo salivi come passeggero sul sidecar.
E c’era anche il carosello. Che li avevi provati tutti i cavalli e ad ogni giro salutavi la mamma come fosse una gioia, ritrovarla lì al ritorno da un giro del mondo.

Sono rimasto mezz’ora poi sono andato via.
Ottobre millenovecentoeuno.
Un gran peccato però.


domenica

La chitarra non mi è mai piaciuta

La chitarra non mi è mai piaciuta.
Un po’ per il suono e un po’ per via di quelli che la suonavano. E la suonavano male.
Sandro, ad esempio. Che lo vedevi di giorno a mare e lo vedevi di notte in piazza, sempre vestito uguale.
Coi piedi sporchi e con quei 4 accordi, a modo suo faceva il “tramp”.
Non ha mai ingannato nessuno e neanche se stesso.

E “le bionde trecce, gli occhi azzurri e poi”… per carità!

Ma ho riscoperto la chitarra e la potenza dell’arpeggio.
Il pizzico metallico che tocca l’anima.
E se la sapessi suonare, ieri sera, alla festa di fino anno, l’avrei presa e avrei cantato quella di Jovanotti,
quella che fa così...

Buon anno fratello
buon anno davvero
e spero sia bello
sia bello e leggero
che ti porti scompiglio e progetti sballati
e frutta e panini ai tuoi sogni affamati
e ti porti chilometri e guance arrossate
albe azzurre e tramonti di belle giornate
e semafori verdi e prudenza e coraggio
ed un pesce d’aprile e una festa di maggio

L’avrei suonata con tutto l’ardore che si ha ad un “inizio”.
L’avrei suonata per la ragazza con gli stivali viola, che era la più bella alla festa,
così bella che, già lo so, la penserò per un anno intero.
L’avrei cantata con l’emozione di un pensiero:
“E’ per te. Vieni via con me.”